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Adolescenti oggi: perché abbiamo bisogno di “un’epoché educativa”

Sappiamo tanto, forse troppo…

Le strade della fenomenologia e gli studi sull’adolescenza oggi conoscono più intersezioni che in passato, soprattutto grazie al recente sviluppo della fenomenologia applicata alla pedagogia e all’educazione.

Eppure l’adolescenza è argomento in voga da circa un secolo, a partire dal conio del termine (dal latino adolescĕre, «crescere») nel 1904 da parte di Stanley Hall (Ammaniti, 2018; Steinberg & Lerner, 2004) fino a giungere agli studi odierni sul benessere degli adolescenti nell’orizzonte contemporaneo – che ha ricevuto grande impulso nel periodo Covid-19 e post-pandemico -, passando per il numero incalcolabile di analisi sulle caratteristiche peculiari e i compiti evolutivi del periodo adolescenziale. L’adolescenza è stata una delle tematiche fondanti e propulsive di tutta la psicologia della sviluppo. Basta fare una semplice ricerca di libri e articoli scientifici, scrivendo “adolescence”, “adolescent” o “adolescenza” e il numero di risultati che viene fuori è spropositato.

Tutto ciò che sappiamo sull’adolescenza è frutto di sforzi di clinici, ricercatori, educatori che hanno cercato di capire questo delicato periodo della vita di ognuno (già il fatto che possiamo definirlo “delicato” è frutto di questo impegno): periodo di transizione, risperimentazione, socializzazione, ribellione, separazione, autonomia, identificazione, valori, ecc.
Tutti questi (e altri) aspetti sono ormai sedimentati nella conoscenza di ognuno di noi e la società e la cultura popolare li hanno introiettati nel proprio orizzonte.

Ciononostante, a partire dalla fine del XX secolo assistiamo ad una crescente intolleranza rispetto agli adolescenti. Sembra che questi sfuggano alle concezioni classiche dell’adolescente visto come ribelle e trasgressivo a cui bisogna mettere dei paletti per arginarlo e farlo diventare un adulto. I metodi educativi tradizionali, intesi ad ampio spettro, sembrano non trovare più il riscontro desiderato e atteso.
Si sentono oggi sempre più voci che parlano di adolescenti indisciplinati, fannulloni, incapaci, senza alcun rispetto e senza valori. Diciamo “oggi”, ma c’è, in realtà, una certa ricorsività di questo fenomeno. Ad esempio, Socrate (470-399 a.C.) diceva: “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata. Si burla dell’autorità, non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori, in una parola sono cattivi”. Ancora prima, Esiodo (VIII-VII secolo a.C.): “Non c’è più alcuna speranza per l’avvenire di questo paese se la gioventù di oggi prenderà il potere domani, poiché questa gioventù è insopportabile, senza ritegno. Terribile”.

Sorge, però, un dubbio: tutta la conoscenza che abbiamo non è sufficiente? I modelli educativi edificati su quella conoscenza perché non riescono più ad avere lo stesso effetto?

Ciò che oggi diversi autori sottolineano è la necessità di rivedere alcune considerazioni sull’adolescenza o, meglio, su come venga declinata. Il problema principale, infatti, non sta nei compiti evolutivi riconosciuti in questa fase della vita, ma nel modo in cui essi vengono calati nel quotidiano. Tutto ciò che è stratificato nella conoscenza collettiva sembra che non riesca a fornire strumenti idonei. Forse vengono a mancare una visione ecologica e un pensiero che riesca a districarsi nella complessità.

Cosa sta succedendo oggi? Perché la fenomenologia e l’epoché possono essere d’aiuto nella monumentale sfida educativa contemporanea? Anticipando un po’ la questione, possiamo dire che l’epoché è la soluzione a quel “troppo” del titolo di questo paragrafo. In che senso “troppo”? La percezione di esaustività e del ricorso al “si è sempre fatto così e ha funzionato” non permette di vedere i cambiamenti della nostra epoca che inevitabilmente hanno delle ripercussioni sul nostro modo di vivere. Noi siamo esseri storicamente determinati e questo va inteso anche nelle complesse trame che le vicende antropologiche e socio-culturali intessono con ognuno di noi.

Un’opportuna premessa: qui non si parlerà di questioni specifiche riguardanti l’adolescenza e la gioventù come, ad esempio la bassa autostima, il corpo, la noia, ecc. L’intento è quello di offrire un quadro generale sull’adolescenza di oggi.

Giovani ieri e oggi: due brevissimi spaccati

Se teniamo come premessa l’intreccio tra sviluppo e dinamiche storico-culturali, vediamo come il contesto di vita in cui si sono costruite molte delle concezioni sull’adolescenza è profondamente diverso rispetto a quello di oggi. Per ciò che ci compete in questo breve lavoro, nei termini di sviluppo ed educazione i modelli di riferimento e pratici sono antitetici, posti su poli opposti. Tali modelli si innestano in orizzonti antropologici e sociali profondamente diversi. Se l’adolescenza di ieri può essere letta nel contesto della modernità, quella di oggi si costituisce nella post-modernità.

La concezione dei giovani e degli adolescenti nella modernità rifletteva il mito del progresso, alla cui base vi era la concezione di una natura selvaggia il cui potere caotico doveva essere frenato e domato dalla cultura: l’uomo agisce e domina il caos interiore ed esteriore. Le categorie tradizionali trovano una sintesi nella figura del “padre”, ovvero di tutto ciò che dà ordine, regola, definisce, argina di fronte al flusso dell’irrazionale. Chi ha un’età compresa tra i 40 e i 60 anni sa bene a cosa mi riferisco se pensa alla propria figura paterna: ordine, timore e paletti, in contrapposizione al materno accudente.

Tutto questo trova sistematizzazione teorica nel conflitto freudiano tra Es e Super-io. Ne consegue che il sentimento della colpa rappresentava ciò attorno a cui ruotava il modello educativo dello scorso secolo: ubbidienza di fronte a ciò che è giusto (che corrisponde a quello che la società pretende da te). Ciò che spingeva all’uniformità era la paura della punizione. (Pietropolli Charmet, 2018)

Nel modello educativo edipico rientrava anche l’adolescenza. La non conformità del giovane era vista alla luce della ribellione di fronte alla norma, per cui, sebbene si dovesse favorire il processo di separazione-individuazione, la punizione, i “no” per principio, le prese di posizione del tipo “è così e basta, non discutere!” rappresentavano le best practices educative. Bisognava mettere un freno. Questo è valido sia nella famiglia che nella scuola. Famose sono, ad esempio, le considerazioni di Foucault (2014) sull’educazione del corpo nelle scuole.

Ne consegue che i processi di separazione e di strutturazione di un’identità da parte dell’adolescente, compiti evolutivi adolescenziali per eccellenza – insieme alla mentalizzazione del Sé corporeo, la definizione dei valori e l’introduzione nel mondo sociale – avvenivano per opposizione e sfida al potere.

Sta di fatto che oggi categorie come la ribellione trovano una scarsa funzionalità. La post-modernità, soprattutto dopo le due guerre mondiali, con la crisi di ciò che reggeva il vivere quotidiano: fiducia nella tecnologia, la religione, l’autorevolezza della figure istituzionali, il senso della collettività, la concezione di leggi universali sottese alla natura, ecc., ha segnato con profondi solchi.

La ferrea contrapposizione tra apollineo e dionisiaco è caduta e con essa tutte le categorie che hanno aiutato ad orientarsi nel mondo e nelle relazioni educative.

Valori, motivazioni, aspirazioni, modelli di riferimento e sentire collettivo sono cambiati.

Il noi sociale lascia il posto al Sé individuale. Non c’è un “noi” visto come motivazione o come aspetto fondante il vivere e l’agire, ma il Sé e la sua piena realizzazione sono i temi che dominano oggi la realtà quotidiana. È chiaro che da un punto di vista relazionale questo apre molte considerazioni.

Questa attenzione al Sé trova espressione nel nuovo modello educativo, che è stato definito in diversi modi: “affettivo” (Lancini, 2015), “narcisistico” (Pietropolli Charmet, 2018).

Paura e colpa non orientano più scelte e comportamenti (ibidem). Queste hanno lasciato spazio a vergogna e bisogno di riconoscimento, i quali nel modello educativo narcisistico (da non intendere patologicamente) sono strettamente connessi. Qui l’aspetto centrale non è più la legge, ma il benessere e la realizzazione.

Ci si muove nelle aspettative del riconoscimento del proprio valore, il quale viene concepito come dote naturale, qualcosa da curare, custodire e far brillare in mezzo agli altri.

L’emotività prevalente non riguarda più, come già detto, la paura e la colpa, perché non c’è nessuna autorità normante da spodestare. Non c’è più una legge della società che bisogna introiettare, ma c’è una sorta di mondo che viene visto come il palcoscenico per il proprio Sé, senza, però, fare i conti preliminarmente con la possibilità di non essere rispecchiati dall’Altro-da-sé.

Si pensi alla cultura del selfie su cui molto ha riflettuto Stanghellini (2020) nei termini di “videor, ergo sum” (“sono visto, dunque sono”).

L’universo affettivo è ora dominato da vergogna, senso del fallimento e paura di non essere all’altezza. Le enormi aspettative che gli adolescenti di oggi portano sulle proprie spalle collidono inevitabilmente con la loro incapacità di tollerare l’attesa e il fallimento.

Il dolore, rimosso e bandito nella società contemporanea, assume negli adolescenti delle caratteristiche peculiari ed eterogenee: dal ritiro sociale all’autolesionismo, passando per diverse sfumature di disagio, il quale si manifesta sotto specifiche forme e ha bisogno di chiavi di lettura diverse. Proprio qui si radica la proposta (e la necessità) dell’epoché.

L’epoché contro ogni stereotipo

Ciò che si è tracciato, senza scendere nei particolari, è un quadro ampio e generale. Già da questo, però, appare chiamo come sia necessaria un’epoché di fronte ai cambiamenti, ormai sempre più incistati, della post-modernità: epoca delle passioni tristi (Benasayag & Schmit, 2013), della libertà angosciosa e angosciante, del tiranno interiore, epoca del “se vuoi, puoi”, dell’ammirazione, del narcisismo (Lasch, 1981), del tramonto delle grandi narrazioni (Lyotard, 2014), ecc. Necessaria per riconoscere come le fondamenta su cui ci muoviamo non possono essere più un terreno edificabile in toto. Piuttosto, la nostra epoca, fatta di trasformazioni che riguardano il nostro essere storico-ontico, ha bisogno di tutto fuorché di pre-giudizi rigidi e non modificabili, di supposta conoscenza, perché tale conoscenza è oggi instabile e chiede di essere rivista. L’epoché, allora, intesa come sospensione del giudizio, come messa tra parentesi, nel senso di avere chiaro quali siano i pregiudizi che guidano e orientano il nostro muoverci nel mondo (Stanghellini & Mancini, 2018), rappresenta la possibilità di tornare all’esperienza vissuta senza che questa venga letta e incapsulata in concezioni pre-confezionate e, a volte, lontane dall’esperienza stessa. Che cosa significa essere adolescenti oggi? Come gli adolescenti vivono il tempo? Cosa significa per un adolescente isolarsi dal mondo vis-a-vis, corporeo-cinestesico e accedere al mondo stesso tramite uno schermo o una dimensione virtuale? Cosa significa esporsi allo sguardo dell’Altro? Come l’adolescente vive il proprio corpo esposto al mondo? Cosa significa portare sulle spalle degli ideali troppo alti? Che ruolo assume internet nei compiti evolutivi adolescenziali?… Potremmo andare avanti per tanto tempo.

La domanda di senso bussa insistentemente alla nostra porta e si fa sentire di più quando si fallisce nella comprensione perché abbiamo messo i paletti del pre-giudizio. L’epoché, come atto liberatorio, permette di aprire quella porta e ci consente di vedere attraverso quali conoscenze stratificate osserviamo il mondo, ma ci fa render conto anche che di fronte a noi non c’è un extra-terrestre solo perché non abbiamo gli strumenti per comprendere: c’è, invece, una terra, un mondo che bisogna esplorare di nuovo – e poi ancora e ancora – affidandosi all’esperienza vissuta dell’adolescente, così come stanno facendo tanti clinici, genitori ed educatori che di fronte ai nuovi adolescenti imparano come aiutarli, sostenerli e guidarli grazie a ciò che da quella esperienza traggono, sperimentando lo scacco di modelli e teorie (o anche solo di una parte di essi). Cosa rimane allora? L’esperienza dell’Altro, che è non un alienus, ma un alter (Callieri, & Maldonato, 1998). Ciò che è auspicabile è che sia l’esperienza a plasmare la conoscenza e l’agire e non il “ok, sappiamo che è così”.

Aprirsi all’ascolto, alla sintonizzazione con l’adolescente, è il primo passo verso la conquista dell’autorevolezza in campo educativo.

Vorrei concludere ponendo (a me stesso e a voi) una domanda: come si può e-ducare, ovvero “portar fuori” se si tira la corda, se si stringe il recinto forzando dentro al pregiudizio?

BIBLIOGRAFIA

Benasayag, M., & Schmit, G. L’epoca delle passioni tristi (9a ed.). Feltrinelli.

Callieri, B., & Maldonato, M. (Eds.). (1998). Ciò che non so dire a parole: fenomenologia dell’incontro. Guida.

Foucault, M. (2014). Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (A. Tarchetti, Trans.). Einaudi. (Original work published 1975).

Lancini, M. (2015). Adolescenti navigati. Come sostenere la crescita dei nativi digitali. Erickson.

Lasch, C. (1992). La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive. Bompiani.

Lyotard, J.F. (2014). La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Feltrinelli.

Pietropolli Charmet, G. (2018). L’insostenibile bisogno di ammirazione. Laterza.

Stanghellini, G. (2020). Selfie. Sentirsi nello sguardo dell’altro. Feltrinelli.

Stanghellini, G., & Mancini, M. (2018). Mondi psicopatologici. Teoria e pratica dell’intervista terapeutica. Edra.

Steinberg, L., & Lerner, R.M. (2004). The Scientific Study of Adolescence: a Brief History. Journal of Early Adolescence, 24(1), 45-54.

Carmelo Pacino

Psicologo clinico. Allievo della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Fenomenologico-Dinamica di Firenze. Si interessa di fenomenologia dell’incontro e di psicopatologia fenomenologica. Si interessa anche del dialogo tra fenomenologia e psicologia dinamica. Socio dell’Associazione Italiana di Psicologia Fenomenologica. Lavora come psicologo presso la Cooperativa Sociale Agape a Salerno, dove lavora anche come libero professionista (anche online).

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