Paderno Dugnano, Viadana, Traversetolo: tre luoghi di provincia padana, relativamente vicini tra loro, balzati agli onori della cronaca nera nell’arco temporale di poche settimane. Gli autori dei reati: due adolescenti, le cui generalità sono tutelate per la minore età, una giovane adulta. I fatti, in estrema sintesi: a Paderno Dugnano, un diciassettenne uccide a coltellate il fratello minore ed entrambi i genitori nel cuore della notte; a Viadana, un altro diciassettenne organizza online un incontro con una donna, durante il quale la uccide, occultandone poi il cadavere nel giardino di una casa abbandonata; a Traversetolo, una ragazza ventunenne, per due volte a poco più di un anno di distanza l’una dall’altra, porta avanti una gravidanza e, giunta a termine, partorisce in autonomia, occultando i cadaveri dei neonati (nati morti o vivi non è ancora chiarito) nel giardino di casa.
Senza voler entrare nei dettagli di ogni azione criminale e nelle storie di vita di ogni individuo e del nucleo familiare in cui questi giovani sono cresciuti, dettagli che i processi e le perizie potranno provare a delineare, cosa accomuna e colpisce in questi tre casi, oltre alla giovane età dei protagonisti?
Innanzitutto, l’apparente incompatibilità tra l’intensità delle emozioni che hanno guidato a lungo il loro mondo interno fino al passaggio a un atto senza ritorno e l’invisibilità di queste emozioni agli occhi di chi condivideva la loro quotidianità, almeno nella misura di cogliere segnali di disagio e farsene carico. In tutti i tre casi si osserva una tale potenza del mondo emozionale interno da riuscire a scotomizzare a lungo il soggetto rispetto a quel piano di realtà in cui i propri stati d’animo possono essere comunicati e condivisi con altri, ed i problemi percepiti possono trovare possibili soluzioni alternative a quelle immaginate individualmente, alla luce delle loro prevedibili conseguenze. Così come in tutti e tre i casi chi ha commesso il reato appare totalmente distaccato da una prospettiva intersoggettiva che senta l’altro come persona, e non solo come ostacolo da rimuovere (perché mi opprime, perché mi vincola, perché non mi sottostà) o come mero mezzo attraverso cui esercitare un controllo totale.
Sarà necessario attendere il lavoro delle singole perizie per comprendere la natura di ogni atto criminale alla luce delle storie individuali e familiari, nonché della struttura psichica di chi li ha commessi, struttura che si è determinata nel corso del tempo proprio in quei contesti. Pur in assenza di dettagli, appare però evidente uno scollamento totale tra il mondo interno e quello esterno, una sorta di binari paralleli (o “doppia contabilità”), come descritto da Bleuler oltre un secolo fa per riferirsi al fenomeno caratteristico, sebbene paradossale, in cui la realtà psicotica interna coesiste con la realtà esterna condivisa, anche quando queste realtà sembrano essere reciprocamente esclusive. Due piani paralleli, che a un certo punto si intersecano in modo impulsivo o pianificato attraverso azioni violente e incomprensibili dall’esterno per la loro brutalità, per la loro evitabilità e per la loro futura ineluttabilità a livello di conseguenze esistenziali per la vittima, per sé stessi e per i familiari di entrambi. Che questo scollamento dei piani paralleli prenda il nome di psicosi, stato dissociativo, scissione o altro, è secondario e di preminente interesse peritale, medico legale e scientifico. Ciò che invece dovrebbe interessare tutti, in primis i genitori e quegli adulti che lavorano nei contesti di relazione, è la dimostrazione in negativo fornita da questi casi dell’assoluta importanza primaria dell’esperienza vissuta dal soggetto come luogo psichico in cui si determinano le azioni nel mondo, azioni che in casi estremi possono essere narrate come impulsive o dettate dalle circostanze, ma che sono in realtà il frutto di una sedimentazione progressiva di stati emotivi sempre meno gestiti, regolati e mascherati, fino all’inevitabile passaggio all’atto per punire chi ha ferito, per nascondere chi potrebbe ostacolare, per sopraffare, esercitando potere. Questo ci ricorda che in ogni essere umano esiste una dimensione soggettiva intima, inaccessibile e imperscrutabile dall’esterno, se non nella misura in cui il soggetto stesso intenzionalmente si muova verso una sua condivisione con un altro essere umano. Tuttavia, anche quando questa intenzionalità è presente, non è garantita la piena accessibilità agli stati mentali dell’altro, poiché essi non sono mai completamente conosciuti e riconosciuti dal soggetto stesso e, ammesso che lo possano essere, non è detto che siano facilmente verbalizzabili e comunicabili. È in questo spazio interumano di inaccessibilità che interviene la patologia mentale, allargandolo a dismisura e alimentando pressioni del mondo interno sempre più ineludibili, auto-rinforzanti e disconnesse dai vincoli del mondo esterno, progressivamente vissuti come sempre più sullo sfondo fino a scomparire, riducendo al tempo stesso la consapevolezza del soggetto di tale processo.
Se nel normale funzionamento psichico mondo interno e mondo esterno sono sempre in una relazione dinamica, una possibile prevenzione di atti estremi come quelli appena discussi può svolgersi solo nella consapevolezza di questo iato per definizione incolmabile tra il mondo interno di ogni essere umano e la piena accessibilità ad esso da parte di altri esseri umani. Questo aspetto è da tenere presente soprattutto in tutte quelle relazioni tra un adulto (genitori, insegnanti, altre figure educative) e un adolescente, in quanto l’adolescente si trova in una specifica e irripetibile fase evolutiva in cui sta prendendo confidenza con un mondo interno in divenire, non più infantile e non ancora adulto, cercando di imparare a gestirlo senza esserne sopraffatto. Quindi non dobbiamo dare per scontato che ciò che appare e ciò che viene verbalizzato, soprattutto a questa età, sia effettivamente la fotografia dello stato emotivo interno di un/a ragazzo/a, e ricordare che l’unica possibilità di poterne avere una buona approssimazione è il mantenimento di una esplicitata, autentica e credibile disponibilità al dialogo e all’ascolto.
*Psicologo psicoterapeuta, Dirigente psicologo presso Centro Diurno per Adolescenti Aïda, Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza dell’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia. È co-autore di pubblicazioni nel campo della psicopatologia dell’adulto e dell’età evolutiva.