L’esser-se-stesso dell’amore, la sua ipseità, non è un “io”, ma un “noi”.
Binswanger, 19421
Questa è una storia di amore, di cura, di relazione; di quegli elementi costitutivi che in-formano l’incontro clinico e schiudono nuove rotte per l’esistenza sofferente, allorquando ogni progettualità appare preclusa all’orizzonte della vita.
Questa è la storia di Melania, la cui vicenda esistenziale fa da leitmotiv alla domanda sollevata dall’autrice: La follia a due è davvero scomparsa?
Con l’edizione postrema del DSM-5 (2013) – cui ha fatto recentemente seguito la sua revisione, il DSM-5-TR (2023) –, il disturbo psicotico condiviso (follia a due) è dichiarato estinto. Un colpo di spugna della comunità scientifica che, stante la scarsa frequenza del disturbo rilevata tra la popolazione generale, sopprime una categoria nosografica che era presente sin dalla prima edizione del noto manuale diagnostico e statistico (1952). Tuttavia, una categoria diagnostica rappresenta un costrutto teoretico, non un’entità naturale (Stanghellini, Rossi Monti, 2009);2 perciò la sua soppressione «non necessariamente equivale alla dissoluzione della corrispondente psicopatologia».3 È opportuno, dunque, chiedersi in quali rischi incorra quel clinico che, irretito dal soave canto delle sirene della nosografia descrittiva, faccia del diagnosticare solo uno «sterile giostrare» – secondo la locuzione di K. Jaspers (1913)4 – lasciando inascoltata la domanda di senso della persona sofferente che egli ha di fronte, tradendo così il proprio mandato etico.
Si tratta di un invito a ripensare le modalità con le quali si manifesta oggi la folie à deux a quasi un secolo e mezzo dalla pubblicazione del primo studio in merito (Lasègue, Falret, 1877),5 un contributo a un fenomeno trasversale che si situa nell’alveo della psicopatologia della dipendenza affettiva. All’uopo, l’autrice riattualizza alcuni capisaldi della psicologia sociale (Le Bon, 1895; Freud, 1921).6,7 Ancora, questa è una riflessione sul disporsi in senso clinico, e critico, rispetto al sistema dei saperi propalati dalla comunità scientifica.
Ecco entrare in scena Melania. La sua storia riveste un ruolo centrale nell’economia del libro; è il centro propulsore da cui origina la proposta di metodo messa in opera da Arianna Merola Sanseverino: ripartire dalla viva e pulsante osservazione clinica, insinuare il dubbio, porsi nella prospettiva della ricerca delle forme inedite e contemporanee con cui – quantunque ne dicano i precetti manualistici – la follia a due si manifesta sulla scena terapeutica. Su Melania l’autrice è in grado di riferirne in presa diretta, essendone stata sua terapeuta individuale per oltre tre anni.
Occorre però fare un salto nel passato, a quando Melania è ancora una bambina cui viene diagnosticato un disturbo d’ansia di separazione. Trascorrono le stagioni e il tempo porta via con sé non solo gli anni ma anche la vita del padre, che muore a seguito di una malattia. Altro tempo passa e Melania è ora nel fiore della vita. Nel 2016 è una giovane donna di 24 anni. Sono gli anni della progettualità, dell’esistenza che con trepidazione si sporge sulle promesse di là da venire. Eppure, è la sua di vita a non scorrere più. Figlia unica, Melania vive con la madre nei confronti della quale ripropone da qualche tempo lo schema di un attaccamento morboso, nel ruolo di inesorabile ombra della figura materna. I terapeuti e gli specialisti danno la ragazza per spacciata. Ne sono certi: per lei c’è ben poco da fare. Così la diagnosi si confonde tragicamente con un destino scritto da terzi. Accade però che la terapeuta che ha in cura Melania, questa ragazza “senza speranze”, tenta qualcosa che ad altri non era riuscito: sceglie di accordarle fiducia.
Ponendo fra parentesi quella diagnosi che avrebbe inscritto Melania entro il perimetro di un desolante destino nosografico, in ossequio alla sua formazione psicoanalitica e fenomenologica Arianna Merola Sanseverino mostra al lettore di avere individuato dell’altro tra le pieghe di quegli incontri con Melania, qualcosa che non si accorda con quel profetare diagnostico che aveva affisso un’ipoteca sul futuro della giovane. La terapeuta intercetta nella madre la figura persecutoria dominante che ha avviluppato la figlia nel gorgo di un sistema delirante da cui ora Melania, a sua volta, dipende in maniera attiva e compartecipe. In quella che si configura come una dinamica di follia a due del nostro tempo, Melania non può fare esperienza di un’autentica relazione di amore genitoriale, bensì subirne solamente una variante caricaturale e deteriore che fagocita quella naturale spinta all’individuazione, rendendo impossibile ogni tipo di dialettica Io-Tu, da cui la ricerca di una modalità fusionale con la madre.
Melania necessita perciò di un “altrove” entro cui fare esperienza di quella via dell’amore che non è ancora stata tracciata in lei. L’incontro con la sua terapeuta sarà allora l’occasione che risolleverà Melania dalla sua caduta esistenziale, per rifondarne la progettualità e la libertà d’essere per il mezzo di quegli elementi essenziali – amore e cura – che l’autrice, in accordo con la riflessione antropologica binswangeriana, assume come fondamento dell’esserci e viatico all’ampliarsi dell’esistenza.
Questo contributo non si rinchiude nelle quattro pareti della stanza terapeutica, ma lascia altresì aperta una visuale sul mondo circostante, intercettando i vorticosi cambiamenti epocali in atto che investono le modalità esistenziali. A fare da sfondo alla storia di Melania, agli analoghi casi clinici, ai casi di cronaca e ad alcuni studi di revisione sull’argomento riportati tra le pagine di questo lavoro, vi è la denuncia di una «crisi esistenziale in cui è venuto a mancare l’amore posto a fondamento dell’essere umano».8
A differenza di quella classica otto-novecentesca, la forma contemporanea di follia a due sembra infatti riguardare il solo mondo relazionale-affettivo della coppia in cui prende vita una dinamica psicotica e persecutoria, in un maelstrom di possesso e immedesimazione con esclusione del mondo esterno. In effetti, il dato empirico registrato dall’autrice si accorda con quella tendenza al ripiegamento solipsistico tipica delle società contemporanee e delle attuali modalità sociali, nelle pieghe di una congiuntura che isola gli individui consegnandoli a un senso di vuoto e in cui vige il trionfo dell’alienazione.
Infine, questa è la storia di tutti. Della più propria ontologica fragilità che si strugge anelando redenzione e tenerezza; dell’accordare fiducia e dell’affidarsi; della follia come estrema possibilità esistenziale; della gettatezza in questo «mondo grande e terribile»;9 della necessità dell’incontro con l’altro eclissata dal mito oggi imperante dell’autofondazione di sé, del self-made cui, bellamente ignaro, non resta altro che farsi strada sgomitando e pervertendo la propria originaria postura esistenziale dell’aver-cura-con-amore.
Unʼagile lettura, nondimeno pregnante, valevole per orientare – specie tra la platea dei giovani clinici e di quanti sono sensibilmente inclini allʼapplicazione del metodo fenomenologico – quella tensione continua alla ricerca e alla conseguente messa in opera della prassi terapeutica alla luce delle travolgenti trasformazioni epocali.
Bibliografia
- Binswanger L. (1942). Forme fondamentali e conoscenza dell’esserci umano. Amore e amicizia come forme della vita autentica. Tr. it. Tab edizioni, Roma, 2021. ↩︎
- Stanghellini G., Rossi Monti M. (2009). Psicologia del patologico. Una prospettiva fenomenologico-dinamica. Milano: Raffaello Cortina Editore. ↩︎
- Merola Sanseverino A. (2024). Follia a due. Un contributo alla psicopatologia delle dipendenze affettive. Roma: Aracne editrice. ↩︎
- Jaspers K. (1913). Psicopatologia generale. Tr. it. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1964. ↩︎
- Lasègue C., Falret J. (1877). La folie à deux ou folie communiquée. Paris: J. B. Baillière Et Fils. ↩︎
- Le Bon G. (1895). Psicologia delle folle. Tr. it. Edizioni Clandestine, Massa, 2014. ↩︎
- Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1978. ↩︎
- Op. cit., 2024. ↩︎
- Gramsci A. (1996). Lettere dal carcere. (1926-1937). Palermo: Sellerio editore. ↩︎