Atmosfera e incontro. I fondamenti della clinica fenomenologico-dinamica
La fenomenologia, nelle sue fondamenta di comprensione e di cura dell’essere umano, è lo studio delle sue esperienze, per come sono costituite, vissute e manifeste. E, allo stesso tempo, è ricerca del senso che le tesse tra loro ed apertura alla libertà in loro intrinseca. Ogni esperienza è espressione del rapporto dell’uomo con il mondo e con l’alterità ed è radicata nella corporeità vivente. Queste sono le basi che hanno consentito, ad un approccio fenomenologico, di fondare la psicopatologia generale e clinica e la psicoterapia fenomenologico-dinamica, nei suoi risvolti individuali e di gruppo.
La negazione della rilevanza clinica delle esperienze umane, in favore di un riduzionismo che ha come totem le vie neurotrasmettitoriali e le categorie nosografiche, ha lentamente condotto ad una crisi della psichiatria e della psicologia clinica. Lì dove l’essere umano, il suo rapporto con il mondo e il suo corpo vivo sono annullati, nessuna comprensione e nessuna cura sono possibili. A questa crisi, però, la fenomenologia clinica, sin dalla fondamentale opera di Karl Jaspers, ha risposto con sempre maggior vigore. Da un lato, il panorama europeo continentale, nei drammatici anni tra le due Guerre Mondiali, ha reso possibile la concettualizzazione e la descrizione dei principali quadri psicopatologici. Dalle forme della schizofrenia alla melanconia, dall’ossessività alle psicosi sperimentali (da uso di sostanze). Non c’è dubbio che questo primo momento storico della fenomenologia clinica si sia dedicato, appunto, alla concettualizzazione ed alla comprensione di queste esperienze di sofferenza umana, piuttosto che ad una “psicoterapia” strictu sensu. Ma senza la definizione di un fondamento metodologico sarebbe stato difficile immaginare una dimensione di cura.
D’altro lato, è stato proprio in Italia che l’approccio fenomenologico ha mostrato il suo dirompente impatto, influenzando in maniera nitida il pensiero di Franco Basaglia. Le mura manicomiali, infestate in Italia da disumanità e lordura indicibili, sono cadute, lasciando campo ad una salute mentale territoriale, pressoché unica al mondo. Non sono però, ancora, cadute le mura del pensiero: la resistenza alle possibilità di comprensione e di cura delle esperienze umane continua a contaminare il lavoro nella maggior parte dei servizi pubblici italiani. La rivoluzione basagliana ha però consentito di spostare lo sguardo dalle forme psicopatologiche manicomiali a quelle territoriali. È, in questi termini, infatti che la fenomenologia clinica italiana si è dedicata, con chiarezza e complessità, allo studio delle esperienze di sofferenza che, in maniera prevalente, si incontrano nei servizi pubblici e negli studi dei liberi professionisti. Dai quadri inerenti all’area borderline e dei disturbi alimentari alle psicosi sintetiche, dalle problematiche relate all’identità di genere (il corpo vissuto che, incessantemente, si conquista, senza essere mai già dato) alle schizofrenie apparenti soltanto nella misura in cui il rapporto col mondo si dissolve.
In quest’ottica, dunque, la fenomenologia clinica italiana ha giocato un ruolo di primo piano, fino ad essere, oggi, uno dei principali motori internazionali della creatività e della ricerca nel campo della psicopatologia e della psicoterapia. La prima generazione di fenomenologi clinici italiani, tra cui senz’altro spiccano Danilo Cargnello, Enrico Morselli e Ferdinando Barison, ha avuto il merito di trasformare l’approccio al malato manicomiale da uno burocratico-igienistico ad uno clinico ed attento alla dimensione umana di ciascun paziente. Se queste parole risuonano familiari – la psichiatria come “igiene mentale” e burocrazia spinta – è perché, quando la dimensione umana è perduta, l’unica possibilità è quella della custodia. Con pochi dubbi, la fenomenologia clinica, per prima, si è interessata al rapporto dell’essere umano con il mondo e con il suo corpo. Ponendo questo rapporto al centro del proprio interesse clinico e terapeutico. La seconda generazione, dal canto suo, ha avuto il merito di approfondire la ricerca in quest’ambito. Arnaldo Ballerini, Bruno Callieri, Lorenzo Calvi, sono stati tra i principali psicopatologi europei dell’ultimo cinquantennio. Ma il loro lavoro non si è ristretto, unicamente, agli aspetti psicopatologici. La loro ricerca ha consentito di mantenere accesa la fiamma dell’interesse nell’essere umano, in un periodo in cui l’invasione della psicofarmacologia, delle indagini strumentali e della psicologia neurofunzionale, sembrava relegare l’uomo ad oggetto tra gli altri oggetti del mondo. È stato con questa passione che Ballerini, Calvi, Callieri, insieme ad altri Maestri, hanno fondato la Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica. Nel corso degli anni, la Società ha organizzato, e continua ad organizzare, il Corso Residenziale di Psicopatologia Fenomenologica a Figline Valdarno.
Ed è stato grazie a questi Maestri che la tradizione si è potuta rinnovare in quella che è considerata la terza generazione della fenomenologia clinica italiana. Giovanni Stanghellini, Gilberto Di Petta, Mario Rossi Monti, Antonello Correale, Paolo Verri, Giampaolo Di Piazza, Danilo Tittarelli, non solo hanno proseguito il lavoro dei Maestri. Ma hanno, anche, volto la ricerca fenomenologica alla costituzione di una metodologia terapeutica che è stata alla base della fondazione della Scuola di Psicoterapia Fenomenologico-Dinamica, con sede attuale a Firenze. Da alcuni anni, infatti, la Scuola, con i suoi percorsi di formazione in psicoterapia e con i suoi Corsi Base annuali rivolti a chi voglia approfondire il pensiero fenomenologico-dinamico, si è imposta come uno dei principali centri di pensiero e di ricerca internazionali sulla psicopatologia e sulla psicoterapia. È in quest’ottica, infine, che la Scuola promuove iniziative culturali, come quella di Napoli su “Atmosfera e Incontro. I fondamenti della clinica fenomenologica”. Il continuo scambio culturale con filosofi quali Tonino Griffero, Federico Leoni ed il compianto Aldo Masullo, ha arricchito e continua ad arricchire il pensiero dei fenomenologi clinici italiani. Tuttavia, la fenomenologia clinica non si pone come un insieme di tecniche da applicare alle forme della sofferenza umana. Tutt’altro. Ciò che, per semplicità, viene definito come “fenomenologia clinica” rappresenta l’insieme di chi si è dedicato e si dedica allo studio delle esperienze che l’uomo fa del suo essere nel mondo e delle possibilità di trasformazione di quelle esperienze intrise di angoscia e dolore. La fenomenologia, in altri termini, non è una forma né, tanto meno, una parte del sapere sull’uomo. Piuttosto, è il movimento per cui l’uomo cerca di conoscersi nel mondo.
Sabato 19 novembre a Napoli presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si terrà il seminario “Atmosfera e incontro. I fondamenti della clinica fenomenologico-dinamica” con Giovanni Stanghellini, Gilberto Di Petta, Tonino Griffero e Gianni Francesetti.
Per info e inscrizioni: Atmosfera e incontro. I fondamenti della clinica fenomenologico-dinamica
