Esperienza di Philosophy for Children all’Istituto Murialdo di Albano Laziale
- Introduzione
Il presente elaborato è il risultato di un progetto di “Filosofia per Bambini” (Philosophy for Children in inglese) promosso dalla scuola primaria dell’Istituto Murialdo di Albano Laziale (RM). Dopo aver proposto l’iniziativa, essa è stata con entusiasmo accolta dalla Scuola come occasione innovativa ed altamente didattica. Se infatti la “Filosofia per Bambini” è ormai ampiamente diffusa in vari ambiti scolatici ed educativi in molti paesi quali Stati Uniti, Canada, America Latina, Regno Unito, Corea, in Italia è considerata molto all’avanguardia. L’idea di proporre la Philosophy for Children è nata dalla personale constatazione di un’urgente necessità da parte dei bambini di avere più tempo per riflettere, tempo per essere ascoltati e per ascoltare. Queste tre necessità (di riflessione, di essere ascoltati e di ascolto) costituiscono un trio essenziale che non dovrebbe mancare mai nell’essere umano, soprattutto in quella fase dell’infanzia durante la quale il bambino si va formando. È dimostrata l’importanza di dar spazio ai discorsi dei bambini (ascoltare cosa hanno da raccontare) per lo sviluppo delle loro capacità intellettive e dell’intelligenza emotiva. In quest’ottica, quando Blaise Pascal (Pensieri, 1996) affermava che “tutti i problemi dell’umanità derivano dall’incapacità dell’uomo di sedersi tranquillamente in una stanza da solo”, si evince proprio quanto appena detto. La filosofia per bambini può dimostrarsi un valido aiuto in tal senso: il laboratorio di filosofia diventa allora un’occasione di riflessione, un momento in cui si ascolta e ci si sente ascoltati. Per questo motivo, dopo un anno carico di studi ed attività post-scolastiche, il centro estivo dell’Istituto Murialdo si è rivelato essere l’occasione migliore per inaugurare il primo laboratorio di filosofia e regalare ai bambini questo spazio di dialogo e riflessione. L’intento del presente elaborato è quello di descrivere questa esperienza, facendone un’analisi e traendone delle interessanti conclusioni.
2. Cos’è la Philosophy for Children
L’autore e poeta francese Milan Kundera (L’insostenibile leggerezza dell’essere, 1989) affermò che “le domande veramente serie sono solo quelle che possono essere formulate da un bambino”. Questo accade perché gli occhi del bambino sono schietti e sicuri che ad ogni loro domanda via sia una risposta certa. “Per ogni interrogativo c’è solo una risposta, quella giusta” (Frankl, Alla ricerca di un significato della vita, 1974) diceva lo psicologo e filosofo viennese Viktor Frankl. Il problema subentra nel momento in cui, crescendo, si va in contro a due direzioni: l’ideologismo, e allora le domande diventano pre-costrutti con l’unico fine di confermare la propria posizione ideologica; lo scetticismo, e allora si ha paura di interrogarsi sul senso della realtà che ci circonda perché si perdono le certezze e nulla ha senso e si finisce col soffocare la riflessione interiore. Il bambino invece mantiene lo stato primigenio dell’essere umano, ovvero la sua naturale sete di verità, senza vizi. Non è un caso che tutti i bambini, chi più chi meno, attraversano la bene definita “fase dei perché”: il domandarsi sul senso del mondo circostante, e quindi porsi i “perché”, è parte intrinseca dell’essenza dell’essere umano e ne costituisce il tratto distintivo rispetto agli esseri animali. Allora, l’espressione di Leopardi (Lo Zibaldone) “I fanciulli trovano tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto” dovrebbe piuttosto convertirsi in “i fanciulli trovano tutto nella vita, gli uomini, spesso, il nulla”. Le parole dello scrittore inglese Clive Staples Lewis (I quattro amori, 2021) esprimono perfettamente questo concetto: “Vi fu un tempo in cui facevi domande perché cercavi risposte, ed eri felice quando le ottenevi. Torna bambino: chiedi ancora”. Si evince che i bambini siano i primi filosofi, e la convinzione che essi possiedano capacità di pensare in modo astratto fin da tenera età portò il filosofo statunitense Matew Lipman (24 Agosto, 1923 in New Jersey – 26 Dicembre, 2010 in New Jersey) ad insegnare loro, per la prima volta, il ragionamento e le abilità argomentative. Lipman si rese conto che portare la logica nell’educazione dei bambini li avrebbe aiutati a migliorare le loro capacità di ragionamento, e nel 1972 fondò nell’università statale di Montclair l’Institute for the Advancement of Philosophy for Children (IAPC). Lipman è oggi considerato il fondatore ed il principale rappresentate della Filosofia per Bambini (Philosophy for Children abbreviata P4C). Essa non consiste nell’insegnare la filosofia in modo tradizionale, bensì è un approccio pedagogico che porta il bambino ad assimilare i concetti astratti della filosofia e a scoprirne un utilizzo concreto. I metodi pedagogici applicati nella Filosofia per Bambini sono diversi, ma fondamentalmente condividono alcune strategie salienti come base sulla quale sviluppare un discorso filosofico:
- Formulare domande (“cos’è un valore?”, “cos’è l’amicizia?”, “si può dire una stessa cosa usando parole diverse?”, ecc.)
- Utilizzare immagini
- Raccontare storie
- Fare giochi propedeutici
Negli Stati Uniti si instituisce annualmente il “Philosophy Slam”, una competizione nella quale i bambini più piccoli presentano delle opere d’arte che illustrano le loro riflessioni filosofiche, mentre i bambini più grandi presentano sofisticati lavori scritti.
La Philosophy for Children trova compimento oggi in Europa attraverso la “European Foundation for the Advancement of Doing Philosophy with Children” (SOPHIA) fondata nel 1993, mentre in altri paesi del mondo ricordiamo la “Philosophy Learning and Teaching Organization” (PLATO) in Stati Uniti, il “Centro Latinamericano de Filosfía para Niños” (CELAFIN) in Sud America, la “Federation of Australasian Philosophy in Schools Associations” (FAPSA) in Australia e la “Philosophy with Children and Youth Network for Asia and the Pacific” (PCYNAP).
3. Esperienza di Filosofia per Bambini al Centro Estivo dell’Istituto Murialdo
Nel laboratorio di Filosofia organizzato al centro estivo dell’Istituto Murialdo, il mio obiettivo era quello di far interiorizzare ai bambini i concetti filosofici in modo che essi li avrebbero saputi applicare nella vita di tutti i giorni, al pari dell’italiano o della matematica. La nozione che si dà alla filosofia, purtroppo e molto spesso, è di una disciplina astratta, costituita da concetti astratti difficilmente a portata di mano, e quindi priva di utilità concreta. La filosofia invece, è bene ricordare, non insegna solo a ragionare, ma soprattutto a vivere ragionando. Per realizzare questo obiettivo, il laboratorio doveva affrontare due sfide principali: 1) rendere l’incontro filosofico il più attraente possibile (considerando che in un centro estivo i bambini, giustamente, vogliono solo giocare), 2) non tralasciare l’argomentazione filosofica, ovvero un momento di dialogo e scambio di idee.
Per conciliare le due esigenze (gioco e argomentazione filosofica) ho strutturato ciascun incontro di filosofia in una prima parte argomentativa, in cui invitavo i bambini ad esprimere osservazioni e pareri su un determinato concetto (es. valori, felicità, percezione, bellezza, ecc.), una seconda parte in cui applicavo il concetto filosofico nel gioco, ed in un ultimo momento si traevano le conclusioni di quanto appena appreso. Ogni incontro riguardava un diverso ambito filosofico quale la fenomenologia, l’etica, l’estetica, la gnoseologia, la dialettica. I gruppi erano costituiti da un numero variabile di bambini (da 6 a 17) di età diverse (dai 6 ai 10 anni).
3.1 L’argomentazione: l’uso della “Talk Ball”
La prima difficoltà è stata quella di rendere tutti i bambini propensi a parlare uno per volta e non tutti 6insieme, come tanti erano abituati a fare anche durante le ore di lezione in classe. Tuttavia era anche importante concedere un momento di scambio reciproco e libero fra di loro. Per cui mi sono avvalsa della Talk Ball, [1] semplicemente una pallina da tennis che avrebbe scandito questi momenti: a chi avrebbe alzato la mano avrei dato la Talk Ball, parla il bambino che ha la pallina da tennis mentre gli altri lo ascoltano. Il bambino con la Talk Ball in mano può passarla ad un compagno che ha alzato la mano. Questo momento poteva durare circa dieci minuti o un quarto d’ora, spesso ero io a dare un limite di tempo per evitare che la discussione si dilungasse per troppo tempo. Finiti gli interventi dei bambini, loro mi davano la palla e dicevo “discutiamone”, che significava “discutiamo insieme e vediamo se siamo d’accordo su quanto appena detto”. In questo momento i bambini potevano parlare liberamente tra di loro. Quando alzavo la Talk Ball in alto significava che il momento della “discussione” era finito. Sono rimasta positivamente sorpresa degli ottimi risultati ottenuti. Sicuramente, introdurre l’uso della Talk Ball ha aiutato i bambini ad assimilare perfettamente la regola del parlare uno per volta, facendoli sperimentare quanto sia bello ed appagante ascoltare e di conseguenza essere ascoltati dagli altri.
3.2 Filosofare giocando
Michel de Montaigne (Saggi, 2017) aveva perfettamente ragione nel dire che “i giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più serie”. Quale modo migliore allora di insegnare filosofia attraverso il gioco. Per questo motivo, l’incontro di filosofia ai bambini prevedeva, dopo il momento di argomentazione e discussione, l’introduzione di un’attività ludica o un gioco al fine di interiorizzare il concetto filosofico. Il gioco inoltre è un ottimo strumento autocorrettivo: se nel momento dell’argomentazione i bambini traevano delle osservazioni errate su un concetto, attraverso il gioco essi capivano autonomamente l’errore e sapevano trarne le giuste conclusioni, senza l’intervento correttivo dell’insegnante, bensì maieuticamente.
3.3. Non è oro tutto ciò che luccica
In questo paragrafo si vuole presentare, in funzione di esempio, un degli incontri del laboratorio di filosofia per bambini realizzato durante il centro estivo. Il laboratorio di Filosofia per Bambini era costituito da vari incontri, come detto precedentemente, riguardante un particolare ambito filosofico e diversamente denominati. L’incontro qui proposto è stato denominato “Non è oro tutto ciò che luccica” ed era inerente alla filosofia fenomenologica. Al fine di facilitare la lettura si presenterà lo svolgimento dell’incontro in modo schematico.
Obbiettivi dell’incontro:
1) Interiorizzare i principi della Gestalt (guardare una stessa realtà oggettiva da prospettive differenti/soggettive), quindi comprendere come ciascuno possa avere una visione diversa dalla propria
2) Sperimentare il rapporto sensi/pensiero
3) Riflettere su realtà e sensi, inganni percettivi
Parole chiave adoperate durante l’incontro: realtà, oggettività, soggettività, particolare, essenza, sensi/capacità sensoriali, pensiero, intelligenza, illusione
Svolgimento:
I bambini sono stati disposti in due semicerchi, uno di fronte all’altro. Ho chiamato un volontario, il bambino S. chiedendogli di sedersi al centro fra i bambini, in modo tale da dare le spalle ad uno dei due dei semicerchi. Dopodiché ho chiesto ai bambini di ciascun semicerchio di descrivere ciò che vedevano del loro compagno. Attenzione, non di descrivere S, ma ciò che vedevano di S. Così, un gruppo di bambini mi diceva di vedere i capelli, le spalle, i vestiti visti da dietro, ecc. L’altro gruppo di bambini mi descriveva invece gli occhi, il naso, la bocca, ecc. A questo punto ho iniziato a lavorare su alcune domande (momento di argomentazione e discussione): Quale dei due gruppi sta descrivendo correttamente il vostro compagno? Avete descritto S. o i particolari di S.? È possibile che entrambi descriviate la stessa realtà pur dicendo cose diverse? Come mai? Può una realtà immutabile essere vista in modo diversa pur rimanendo la stessa realtà? Lavorando su queste domande i bambini hanno constatato che si possono avere prospettive soggettive e diverse di una stessa realtà oggettiva, ma nel momento in cui ci si riferisce all’essenza di quella stessa realtà oggettiva tutti concorderanno nel percepirla allo stesso modo. Di seguito si è argomentato sul rapporto che sussiste fra pensiero e percezioni sensitive. Fino a che punto il pensiero viene in aiuto ai cinque sensi, o è piuttosto l’inverso? Quindi ho introdotto l’aspetto ludico del laboratorio filosofico, ovvero il “Braille di Locke” (da me denominato). Prendendo ispirazione dalla lettura Braille, ovvero il sistema di lettura e scrittura basata su punti in rilievo per i ciechi, il gioco si prefiggeva di simulare uno degli esperimenti effettuati dal filosofo JohnLocke.[2] Per realizzare il gioco avevo preparato dei disegni resi in rilievo tramite colla vinilica. Era importante che i disegni fossero simili fra di loro (es. un fiore stilizzato e una nuvola in modo che i disegni avessero in comune lo stesso movimento circolare, oppure una casa, una montagna e una matita, una spirale che parte verso l’alto ed una che parte verso il basso, una sequenza di puntini disposti orizzontalmente ed una disposta verticalmente). Il “Braille di Locke” consiste nel bendare un bambino e porgli dinnanzi uno dei disegni che avrebbe dovuto toccare passando le dita sui rilievi dell’immagine. Una volta finito di tastare il disegno gli avrei posto altri disegni simili e, tolta la benda, mi avrebbe dovuto indicare quale disegno aveva toccato. Una variante: senza mostrargli altri disegni, bendato doveva cercare di indovinare cosa stesse toccando. L’esperimento è stato eseguito con tutti i bambini ed è servito ad evidenziare il rapporto tatto/percezione e pensiero/astrazione. Una seconda attività ludica è stata quella di costruire il disco di Newton, dopo aver presentato ai bambini alcuni esempi di illusioni ottiche, percettive, cognitive e paradossali (es. il coniglio che sembra una papera: si ritorna al concetto di percezione soggettiva). Questo è servito per riflettere sul rapporto percezione sensitiva e pensiero: quanto possiamo fidarci dei nostri sensi.
4. Conclusioni
Il laboratorio di Filosofia per Bambini ha dimostrato un interessato coinvolgimento da parte di tutti i bambini. Tenendo in considerazione che i singoli incontri erano a partecipazione volontaria (nessun bambino era tenuto a partecipare se non voleva), è significativo che il numero dei bambini non sia mai stato inferiore a sei e fino ad un massimo di diciassette. Per concludere, credo sia opportuno riportare un episodio significativo. Durante una delle ore di gioco libero al centro estivo, tre bambine di terza primaria, Gr., Gi. ed E., vennero da me in pianto perché avevano bisticciato per un malinteso creatosi fra di loro. Non esistevano parole di persuasione per convincerle a far pace, finché non mi venne in mente l’incontro “Non è oro tutto ciò che luccica”. “Vi ricordate” dissi rivolgendomi alle bimbe, “spesso capita che non ci capiamo perché diciamo cose diverse seppure facciamo riferimento alla stessa cosa”. Bastarono queste parole, non mi dissero nulla ma immediatamente E. si scusò con l’amica: “Scusami”, disse “non volevo farti capire una cosa diversa da quella che intendevo dirti”. Questo è applicare la filosofia nella vita di tutti i giorni.
Bibliografia
Blaise Pascal, Pensieri, Gulliver, Roma 1996.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, Milano 1989.
Giacomo Leopardi, Lo Zibaldone.
Clive S. Lewis, I quattro amori. Affetto, amicizia, eros, carità, Jaca Book, 2021.
Michel de Montaigne, Saggi, Bombiani, Milano 2017.
Viktor E. Frankl, Alla ricerca di un significato della vita, Mursia, Milano 1974.
[1] L’uso della Talk Ball è un’invenzione di Peter Worley, educatore, scrittore e praticante di filosofia nelle scuole primarie e secondarie. Egli è co-fondatore di The Philosophy Foundation, un ente di beneficenza pluripremiato che porta la filosofia nell’istruzione primaria e secondaria e che promuove il ruolo della filosofia nell’istruzione. È anche presidente della fondazione “SOPHIA”. Ha scritto diversi libri tra cui 40 Lessons to Get Children Thinking, The If Odissey, Once Upon an If.
[2] John Locke nel suo saggio Identità, si pone il seguente problema: un uomo cieco dalla nascita, impara a distinguere al tatto un cubo e una sfera fatta con gli stessi materiali e con la stessa dimensione. Supponendo che quest’uomo riacquisti la vista e che uno gli metta entrambi gli oggetti di fronte, potrebbe distinguerli e nominarli senza toccarli prima, solo con la vista? Tale quesito venne denominato “problema di Molyneux” siccome fu lo scienziato Molyneux, particolarmente interessato ai misteri dell’ottica e alla psicologia della vista, a porre l’interrogativo a John Locke.