Psicoterapia

La metafora come strumento di conoscenza in psicoterapia

Comprendere vuol dire comprendere metafore.

Eugenio Borgna

Il linguaggio metaforico rappresenta una delle forze più attive della lingua, in quanto mezzo di arricchimento, non solo semantico e lessicale, ma anche espressivo e stilistico. Attraverso di esso, infatti, categorizziamo le esperienze, ci esprimiamo nella quotidianità, ci impegniamo a comprendere il mondo. Ma che cos’è la metafora? E perché può essere così utile in psicoterapia?

La metafora (dal latino metaphŏra, ossia «trasferimento», e dal greco μεταϕέρω, «portare oltre», «trasferire») è una figura retorica che si basa su una similitudine sottintesa, attraverso l’uso di un vocabolo o di una frase che esprimono un concetto diverso da quello che normalmente si intende esprimere e senza dare ulteriori specificazioni. Diversamente da ciò che avviene nella similitudine, che mira invece a chiarire un concetto presentandolo in parallelismo con un altro, la metafora lascia quindi intendere, allude senza mai affermare. Fu Jakobson (1956), uno dei più importanti linguisti del XX secolo, a compiere il primo passo verso l’elevazione della metafora e della metonimia a meccanismi che strutturano e regolano tutta l’attività linguistica. Partendo da studi sulle afasie e sulle abilità di selezione e sostituzione degli atti linguistici, Jakobson classificò le afasie in Afasia da disturbo di somiglianza, in cui sussiste una disfunzione metaforica, ma risulta preservata la capacità di sostituzione (ad esempio, una persona che è stata in grado di usare il termine “scapolo” in una conversazione sugli appartamenti per single non riesce poi ad usarlo successivamente come sostituto di “uomo non sposato”) e Afasia da disturbo di contiguità, in cui sussiste una difficoltà di sostituzione delle parole, ma la capacità di selezione risulta preservata (ad esempio, può dire “una povera casetta”, ma è incapace di dire “baracca”). Lacan (cit. in Di Ciaccia e Recalcati, 2000) si appropria di ciò che Jakobson ha detto della metafora e della metonimia per descrivere il linguaggio inconscio. In esso, secondo l’autore, significante e significato appaiono indistinguibili e le parole possono trasferire la loro energia su altre per spostamento (metonimia) o per condensazione (metafora). La metonimia indica una sostituzione di significanti tra loro contigui (ad esempio, “bere un bicchiere” anziché dire “bere l’acqua”), mentre la metafora è il processo attraverso il quale si trasforma la significazione propria di un termine in un’altra significazione che gli si adatta solo in virtù di un paragone sottinteso (Lacan, 1974). «Essa è la sostituzione di un significante ad un primo significante che così diventa significato, ma che, però, a livello latente, può costituire ancora un significante. L’importanza della metafora si rivela, secondo Lacan, quando, tramite essa, il “senso” assume le apparenze del “non-senso”, ossia quando il nuovo significante non richiama più il significato antico. A questo punto è necessario scavare nell’inconscio per recuperare tale significato e per potere comprendere appieno il discorso» (Rascente, 2011, p. 86).

In filosofia, le teorie della metafora elaborate da Max Black e Paul Ricœur (cit. in Contini, 2020) sono tra le più rilevanti nel panorama novecentesco. Entrambi gli autori hanno sottolineato quanto la metafora:

  • assuma soprattutto una funzione conoscitiva, più che stilistica;
  • ci dica qualcosa di nuovo sulla realtà;
  • non sia solo un fenomeno del linguaggio, ma anche del pensiero.

Tuttavia, mentre Black enfatizza la forza euristica e conoscitiva della metafora per la sua modalità di organizzazione semantica e concettuale (come una cosa viene riorganizzata attraverso il filtro della metafora), Ricœur ne enfatizza, invece, il potere creativo, scorgendovi innanzitutto un dispositivo di innovazione semantica, un luogo di emergenza e produzione di senso che suscita spesso un effetto sorpresa. La metafora “viva” (Ricœur, 1975) è appunto la metafora, originale e creativa,  che non solo trasforma il codice linguistico senza distruggerlo, ma sa anche trasgredire, associando campi considerati in genere inconciliabili. Per chiarirci, nell’esempio “Quest’uomo è un leone” la parola “leone” mette in contraddizione le categorie di analisi logica di tutto il periodo, in quanto essa non è un attributo, né appartiene al sostantivo. Ma Ricœur si spinge ancora oltre: egli ipotizza che la metafora non trasgredisca solo un ordine logico pre-esistente, ma che essa sia anzi all’origine di qualsiasi forma di predicazione, anche di quelle divenute abituali. La metafora, infatti, può funzionare come può funzionare lo stesso concetto della parola che vogliamo utilizzare, la parola stessa. E, in effetti, la metafora nasce quando siamo costretti a modificare quei criteri di logicità nell’uso dei termini, nel momento stesso in cui riconosciamo che l’enunciato usato apparentemente errato è in realtà dotato di senso. Ciò comporta un altro aspetto importante, ossia il riferimento al mondo: la comprensione della metafora dipende da come la realtà è fatta, o almeno da come questa appare al nostro sguardo. Per questo Ricœur propone l’immagine come strumento attraverso cui la metafora può realmente svilupparsi e funzionare. L’immagine, difatti, irrompe nell’enunciato, esercitando un lavoro di somiglianza con il mondo e facilitando la comprensione di ciò che si vuole dire, limitandosi a individuare ciò che è poi visivamente nel mondo.

Binswanger, in Sogno ed Esistenza (1930, p. 226), scrive: «Quando “cadiamo dalle nuvole” a causa di una improvvisa delusione, noi cadiamo veramente. Non si tratta di un cadere puramente fisico, oppure di un cadere che lo imiti o che ne sia derivato (in modo analogico o metaforico); è invece proprio della essenza della delusione o dello sgomento improvviso, il fatto che l’armonia col mondo materiale ed umano sulla quale ci eravamo basati fino a quel momento, subisca a un tratto un colpo tale da incrinarla. In un momento simile la nostra esistenza è realmente danneggiata, strappata dal suo sostegno nel ‘mondo’ e abbandonata in balia di se stessa. Perciò, fino a quando non riusciamo a trovare un nuovo posto stabile nel mondo, tutta la nostra presenza si trova nella prospettiva dell’inciampare, dell’affondare, e del cadere. […] Secondo questa concezione, il cadere-dalle-nuvole sarebbe effettivamente la trasposizione analogica o metaforica di una condizione reale dalla sfera del fisico a quella della mente, nell’ambito della quale essa quindi non sarebbe altro che una espressione pittoresca senza alcun contenuto o sostanza, cioè un semplice “modo di dire”». Nella similitudine del cadere (dalle nuvole) e dell’ascendere (al settimo cielo), Binswanger evidenzia quanto la polarità ascesa-caduta, che struttura la totalità del cosmo, saldi insieme sia la “forma” del mondo che il “contenuto” affettivo. Si, pensi, ad esempio, alla smania ascesa dell’esaltazione fissata e alla caduta nella tristezza del depresso. Tale primato ontologico-cosmologico della similitudine è dato dal fatto che la struttura fondamentale del mondo e la lingua formano un unico regno dei significati, connotato principalmente dall’affettività (D’Ippolito, 2002): «In fondo, perciò, l’immagine rallegrante e la gioia, l’immagine triste e la conseguente tristezza sono la stessa cosa, sono cioè l’espressione della stessa fase ascendente e poi discendente di un’onda» (Binswanger, 1930, p. 17).

Il fatto che la metafora sia senza dubbio un modo per esprimere le cose così come sono vissute viene ripreso anche da Calvi (2005) quando descrive la metafora come emblema del mondo della vita. Tra gli esempi riportati dall’autore c’è quello emblematico del dolore per la perdita di una persona cara: nell’ottica della mondanità, il dolore in genere viene descritto nell’ordine della quantità (poco, molto, moltissimo); vissuto a livello intenzionale, invece, l’evento doloroso può costituirsi come un’esperienza corporale, spaziale, temporale, espressiva, che coinvolge tutti gli esistentivi e si delinea, quindi, nell’ordine della qualità. Il dolore, infatti, può trafiggere, costringere, far sprofondare, arrestare il tempo, ammutolire, ecc. Per questo, Binswanger quando parla della metafora la definisce come «la creatura più cara all’analisi esistenziale» (Binswanger, 1957, p. 45) e la similitudine come àncora che affonda le radici nella «nostra comune patria spirituale, la lingua»(Binswanger, 1930, p. 15). Il linguaggio, di cui è intriso lo spazio e il tempo della cura, infatti, storicizza, dà vita, rappresenta “la dimora dell’essere” (Heidegger, 1946, p. 267) e del “bene-dire” (Lacan, 2013, p. 521). Esso, in altre parole, è il luogo della terapia, lo spazio dove ci si sforza di dire bene le cose, renderle comprensibili, allo scopo di accettare la propria storia e storicizzarsi, rendersi vita, desiderio, progetto.

Bibliografia

Balestrieri A. (2000), Metafore ed ermeneutica per la schizofrenia. La “impotenza ermeneutica”,  Journal of Psychopathology, 6 (4),.

Binswanger L. (1930), Sogno ed Esistenza, inId., Essere nel Mondo, Astrolabio, Roma 1973.

Binswanger L. (1957), La psichiatria come scienza dell’uomo, Mimesis, Milano 2013.

Borgna E. (2002), I linguaggi della fenomenologia in Bruno Callieri, in Comprendre, 12.

Calvi L. (2005), Il tempo dell’altro significato, Mimesis, Milano.

Contini A. (2020), Black e Ricœur filosofi della metafora, in Aisthema, VII(1).

Di Ciaccia A., Recalcati M. (2020), Jacques Lacan, Mondadori, Milano.

D’Ippolito M. (2002), La metafora come indice esistenziale in L. Binswanger, Comprendre, 12.

Heidegger M. (1946), Lettera sull’umanismo, in Id., Segnavia, (a cura di F. Volpi) Adelphi, Milano 1994.

Jakobson R. (1956), Two aspects of language and two types of aphasic disturbances, in R. Jakobson & M. Halle (Eds.), Fundamentals of language, Mouton&Co’S Gravenhage, Amsterdam 1956.

Lacan J. (1974), L’istanza della lettera dell’ inconscio o la ragione dopo Freud, in Id., Scritti, ed. it. a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974.

Lacan J. (1975), Televisione, in Id., Altri scritti,ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2013.

Rascente M. (2011), Metaphora Absurda. Linguaggio e realtà in Paul Celan, Franco Angeli, Milano.

Ricœur P. (1975), La metafora viva, Jaca book, Milano.

Imma Zarrella

Imma Zarrella, Psicologa e Psicoterapeuta a orientamento fenomenologico, PhD in Psicologia sociale, dello Sviluppo e Ricerca Educativa presso la Sapienza-Università di Roma, socia dell'Associazione Italiana di Psicologia Fenomenologica. Esercita come libero professionista a Caserta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Back to top button