PsicoterapiaTerapia Metacognitiva Interpersonale

La differenziazione in Terapia Metacognitiva Interpersonale

Nei disturbi di personalità gran parte della patologia è legata alla presenza di disfunzioni metacognitive, schemi maladattivi interpersonali e dalle strategie di coping messe in atto per gestirli  (Dimaggio et al., 2013; 2019) .Gli schemi, in particolare, sono strutture stabili che contengono informazioni su di sé, sugli altri e sul destino dei desideri interpersonali. Cosa accade se chiedo cure e vicinanza? Gli altri mi apprezzeranno se mostro il mio impegno? Vorrei far parte di un gruppo ma gli altri mi escluderanno? Le informazioni dello schema sono di tipo cognitivo (pensieri e immagini) ma anche e soprattutto di tipo emotivo, viscerale e corporeo (Dimaggio et al., 2019) rendendoci più energici o abbattuti a seconda delle situazioni che ci aspettiamo si verifichino. 

Lo schema può impattare nella patologia attraverso il contenuto e attraverso i processi che determina; si comporta come un indovino che prevede il futuro, ci dice come andranno le cose e spaccia per realtà mo(n)di interni di sentirsi. Per fare questo facilita un’interpretazione degli eventi, per la maggior parte del tempo negativa, coerentemente con le aspettative che contiene, non solo filtrando le informazioni in entrata ma scartando o sminuendo alternative. Di conseguenza la struttura predittiva verrà in automatico rinforzata da altre nuove informazioni costruendo una sorta di ciclo: lo schema maladattivo impone una lettura e questa lettura rinforza lo schema stesso, rendendolo ancora più pervasivo e rigido. Più informazione selezioniamo, più aggiungiamo evidenze a quello che crediamo di noi stessi e più lo schema si rinforza e, quindi, tenderemo a sentire sempre più solida e immutabile l’immagine negativa che ci descrive. A livello di contenuto, quindi, lo schema patogeno ci indica, ad esempio, che non otterremo mai riconoscimento perché siamo senza valore, andando a selezionare nell’ambiente esterno e nelle relazioni solo conferme di questa immagine di sé. Oppure interpreteremo la distanza del partner solo come segnale del nostro essere poco attraenti. Questo sospetto nasce perché di base già crediamo di esserlo e dopo aver dato questa interpretazione ai comportamenti altrui, ne saremo ancora più convinti. Il contenuto dello schema si genera grazie alle interpretazioni che forniamo agli eventi di vita e alle relazioni interpersonali che viviamo.

A livello processuale, gli schemi fondono la realtà con il copione interno incarnato. Questo impedisce alle persone di distinguere quello che hanno appreso nel passato da quello che vivono nel presente e impedisce anche di distinguere quello che lo schema racconta dai fatti oggettivi e reali. Ovviamente, quando gli eventi si muovono sul confine sottile che esiste tra credenza schema correlata e realtà, è più difficile distinguere le cose. Infine, lo schema impedisce di attribuire agli altri con cui entriamo in relazione intenzioni o convinzioni diverse da quelle che esso produce e determina, quindi, azioni comportamentali e reazioni emotive. In parallelo, impedisce di avere anche rappresentazioni di sé più morbide, positive e benevole. Un esempio ci permetterà di capire meglio.

Giulia ha 43 anni e arriva in terapia perché in crisi con il fidanzato. Attraverso l’analisi degli episodi narrativi (Dimaggio et al., 2013) capiamo che Giulia legge le parole del fidanzato attraverso le lenti del suo schema maladattivo. Essa, infatti, desidera essere considerata ma in realtà si percepisce inetta e la sofferenza che prova è un insieme di vergogna e tristezza. Questo rappresenta il contenuto dello schema. Ma, a causa del funzionamento dello stesso, Giulia si aspetta critica da parte di tutti, legge solo critica a conferma del suo essere inetta anche quando non ci sono queste intenzioni da parte degli altri. Giulia non riesce a tenere separate le rappresentazioni che ha di sé stessa da quello che l’altro può realmente pensare di lei. Ed ecco che qui nasce un secondo problema legato al funzionamento dello schema. Come è giusto che sia e, come accade a tutti quanti noi nella vita, ci sono delle volte in cui Giulia davvero riceve critiche appropriate e sensate ma non riesce a non leggerle come conferma del suo essere incapace. Non riesce a dirsi, ad esempio qualcosa del tipo “sì, in effetti qui ho sbagliato ed è giusto che il capo mi corregga”. Si dice solo qualcosa del tipo “sono totalmente incapace e per questo riceverò sempre e solo critiche”. Inoltre Giulia non riesce a separare il pensiero altrui dal modo in cui lei stessa si vede quindi aderisce sempre a quello che crede che gli altri possano pensare di lei. Lo schema di Giulia è storicamente legato alla relazione con un padre lontano, esigente e severo ed è stato poi rinforzato da una serie di interazioni che le hanno rimandato l’idea di essere una incapace a cui sottolineare ogni minimo errore.

Cosa rende difficoltoso distinguere il piano di realtà dallo schema? Una specifica disfunzione metacognitiva cioè la scarsa capacità di differenziare. La differenziazione è, infatti, quell’abilità metacognitiva secondo la quale dovremmo identificare la natura rappresentazionale del pensiero, comprendendo che le nostre idee non sempre descrivono la realtà in modo oggettivo (ibidem). Sempre grazie alla differenziazione dovremmo anche riuscire a comprendere che spesso attribuiamo agli altri delle intenzioni nei nostri confronti che sono legate allo schema a e non alla realtà. Cioè, interpretiamo quello che fanno gli altri guidati dallo schema incarnato e dalle aspettative che esso contiene. 

Con la Terapia Metacognitiva interpersonale (Dimaggio et al., 2013, 2019) una volta individuato lo schema patogeno nel suo contenuto, aiutiamo il paziente a comprendere come esso si palesa nell’esperienza interna e come la persona ne subisce l’impatto. La diade terapeutica arriva a comprendere il modo in cui il paziente è vittima dello schema e può concordare, ad esempio, attraverso l’automonitoraggio, di osservarsi e riconoscere quando esso si attiva e quali meccanismi chiama in causa. A questo punto l’ostacolo che siamo chiamati ad affrontare è quello di favorire un sempre maggiore distanziamento dai contenuti e dal funzionamento dello schema, lavorando proprio sulla differenziazione. 

Lo scopo è distinguere la realtà da quello che abbiamo appreso nella nostra storia di vita e condensato nelle informazioni dello schema, accedere a immagini di sé positive, così da rendere le credenze negative su di sé meno rigide. Infine, la differenziazione aiuta a comprendere che la sofferenza che proviamo non è dettata da quello che gli altri dicono o fanno verso di noi ma da come noi interpretiamo e reagiamo agli eventi.

Nel caso di Giulia, il lavoro terapeutico, con la TMI, sulla differenziazione le ha permesso di comprendere il modo in cui percepiva la realtà e di come la sua sofferenza fosse legata al credere fermamente a quella visione. Una parte importante di intervento ha favorito un maggiore distanziamento dal pensiero degli altri restando ancorata al proprio modo di vedersi e percepirsi. Giulia infatti, alla fine della terapia, ha potuto comprendere che gli altri possono anche avere pensieri negativi su di lei, e che questo giustamente genera una quota di sofferenza, ma è il credere a quella visione, l’aderire profondamente ai giudizi esterni negativi che amplifica esponenzialmente il dolore. 

Bibliografia:

  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., & Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale: dei disturbi di personalità. Cortina.
  • Dimaggio, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento: Terapia metacognitiva interpersonale. R. Cortina

Virginia Valentino

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Collabora col centro tmi di Roma ed è una delle fondatrici del centro tmi di Avellino. I suoi ambiti di interesse principali riguardano i disturbi della personalità, disturbi d'ansia e trauma correlati e le neuroscienze.

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