Il presente lavoro costituisce un tentativo di analisi e di indagine del tempo interiore (detto patico) legato al vissuto della sofferenza. Chi scrive è consapevole come sia importante rendere chiaro un tema che appare di difficile lettura nel campo psicologico-psichiatrico. Altresì ci si rende conto come sia difficile “mettere in parole”, per una più ampia platea di lettori, un tema che coinvolge sia le scienze umane che le scienze della natura. Partendo dalla personale esperienza in campo clinico e di studi, si è del parere che il tempo vissuto sia un tema fondamentale rispetto alla programmazione di una cura.
Sia il vissuto patico del tempo (tempo patico) sia il flusso del tempo (tempo durata) costituiscono, soprattutto nel campo della fenomenologia e per i futuri clinici, percorsi sperimentali per una cura. Gli obiettivi operativi, le ricadute cliniche, l’analisi delle crisi e della sofferenza psichica del paziente comprendono il tema della temporalità. Il concetto di tempo interiore, oggetto della nostra indagine clinica, è un enigma difficile da risolvere: l’interiorità del paziente non smette mai di legarsi al vissuto emotivo e questo, a sua volta, alla temporalità (percezione cosciente o irriflessa del senso del tempo), di riflettere sull’accadere dell’accadere e d’incarnarsi negli accadimenti temporali che si intrecciano con la storia personale. Ogni individuo, infatti, dispone di un tempo lineare e storico (cronologia degli accadimenti) e di un tempo interiore (soggettivo, enigmatico). Per chi scrive, il concetto introdotto – dopo un lungo travaglio – di tempo patico nel campo psicologico-psichiatrico mira a mettere in risalto il misterioso tema della temporalità umana durante la crisi psicologica, il cambiamento repentino (Masullo, 1995) e la sofferenza oscura (Piro, 2005). Tale tematica si configura, soprattutto nel campo della psicoterapia, come fondamentale ai fini di indicare una traiettoria verso la guarigione del paziente.
Sappiamo che il tempo umano è dappertutto: sopra e sotto, davanti e dietro la nostra persona; anzi, il tempo è tutto: copre e riempie ogni cosa nella nostra vita (fuori e dentro di noi, tra orologi e pensieri); non possiamo fare a meno di cercare di “afferrarlo”, nominarlo, studiarlo, misurarlo e riflettere su di esso, per quanto la fisica del Novecento ci dica che non esiste e la psicologia cerchi di spiegarlo (Benini, 2020). Al di là degli studi psicopatologici, neurobiologici e delle neuroscienze sul tempo – nonché delle infinite raffigurazioni mitologiche del tempo nelle varie culture ed epoche, con i suoi risvolti filosofici e antropologici –, ci interessa indagare la dimensione del tempo interiore legato al vissuto della sofferenza come principio dinamico, trasformativo.
Il tempo è ambivalente: se lo consideriamo come differenza, di differenza si muore ma anche di differenza si nasce […] la straordinarietà del tempo come differenza che irrompe sta nel fatto che distrugge relativamente il passato, ma per aprire lo spazio al futuro.1
Rispetto al tempo patico ci viene in aiuto Bergson e lʼindagine sul tempo interiore. Attraverso il confronto con le teorie evoluzionistiche egli giunge allʼidea che il tempo scientifico sia una mera astrazione, essendo composto di istanti statici e identici fra loro. La persona, invece, vive e muta in un tempo dove ogni istante è continuamente diverso e, portando in sé lʼeredità del precedente, già avverte la presenza dei successivi. Di ciascuno dei miei stati psichici parlo, infatti, come se esso costituisse un blocco: si cambia, si concepisce il cambiamento come un passaggio da uno stato al successivo e si crede che ogni stato, considerato per sé stesso, rimanga immutato per tutto il tempo durante il quale si produce. Eppure, un piccolo sforzo di attenzione basterebbe a rivelarci che non cʼè affezione, rappresentazione o volizione che non abbia a modificarsi di continuo: se uno stato di coscienza cessasse di cambiare la sua durata cesserebbe di fluire. Ogni stato dʼanimo si arricchisce continuamente della propria durata, si “catapulta” nella coscienza riflettente: il tempo muta e nondimeno si rimane sé stessi. Se la nostra esistenza fosse costituita di stati separati, privi di ogni connessione tra pensieri e affetti e di una sintesi, non ci sarebbe per noi durata. Infatti, la nostra durata non è il susseguirsi di un istante a un altro istante; la durata è lʼincessante progredire del passato che erode lʼavvenire e che, progredendo, si accresce. E poiché si accresce continuamente, il passato si conserva indefinitamente.
Per chi scrive, la dimensione del tempo patico accompagna i momenti critici (le crisi) del paziente soprattutto durante i percorsi di “mutamento personale”, quando avviene la scoperta del sé e il prendersi cura di sé. Ciò costituisce un importante nuovo filone di indagine nel campo psicologico-psichiatrico dei disturbi psichici.
Se voglio prepararmi un bicchiere dʼacqua zuccherata, per quanto possa darmi da fare devo aspettare che lo zucchero si sciolga. È un piccolo fatto ricco di insegnamenti. Il tempo che devo aspettare non è più infatti il tempo matematico che può applicarsi a tutto il corso della storia del mondo materiale, anche se si dispiegasse simultaneamente nello spazio. È un tempo che coincide con la mia impazienza, cioè con una certa porzione di quella che è la mia durata e che non può allungarsi o contrarsi a piacere. Non è più qualcosa di pensato, ma è qualcosa di vissuto. Non è più una relazione, ma è qualcosa di assoluto. E che cosa significa questo, se non che il bicchiere dʼacqua, lo zucchero e il processo di soluzione dello zucchero nellʼacqua sono appunto delle astrazioni, e che il tutto entro il quale sono stati ritagliati dai miei sensi e dal mio intelletto procede, magari, allo stesso modo di una coscienza?2
Detto ciò, appare interessante aiutare il paziente a elaborare a livello cosciente i suoi vissuti temporali legandoli alle esperienze dirette di vita.
L’esperienza del tempo, cui solo le indagini daseinsanalitiche hanno consegnato importanza psicopatologica, consente ad esempio di ‘interpretare’ psicologicamente alcuni fenomeni psicopatologici che non sarebbero altrimenti comprensibili […] ogni manifestazione della vita è come sorretta dal flusso del divenire.3
A partire dalla temporalità e delle sue molteplici forme (tempo vissuto, tempo patico, tempo cronodetico, tempo durata, ipertempo) e dalla dimensione semantica-emozionale, appare possibile adottare nell’interazione con l’altro un sistema di regole dell’agire terapeutico. Il mutamento patico del paziente, soprattutto, può essere legato al guasto temporale. Il patico, di cui si accennerà in tale saggio, coincide con il sapersi-sentirsi nel mondo delle relazioni umane per fronteggiare il limite del dolore psichico nelle relazioni umane, nella propria individualità (imprigionamento patico). Riconoscere il tempo patico, il “sentire”, colto a ogni istante-adesso e il divenire/flusso del tempo (del prima e del dopo), la cronodesi (Piro, 2005) come tessuto intersoggettivo e legame agli orizzonti, ci permette di ritrovare la nostra natura di persone capaci di andare al di là della sofferenza individuale; di persone che vivono, gioiscono e soffrono nel mondo; che si ritrovano parte del vasto campo delle relazioni umane (campo intersoggettivo), del processo di cura o mutamento personale, spettatori e attori. Il tempo patico diviene consapevolezza del flusso degli oggetti (reali e non reali) percepiti, immaginati, desiderati (colti, rispettivamente, nella modalità della percezione, della rappresentazione), ossia che “entrano nella coscienza”; cosicché “la coscienza entri in rapporto” con essi oppure che essi “siano assunti nella coscienza” secondo questa o quella modalità di riflessione e di rappresentazione. Insomma, il tempo interiore (la percezione, la rappresentazione e l’immaginazione di ciò che accade nel flusso) ci aiuta a scoprire un legame tanto complesso quanto semplice riguardo quello che viviamo dentro di noi. L’orizzonte del tempo patico è inteso perciò quale direzione della temporalità, chiave ulteriore per comprendere la sofferenza umana e il vissuto del dolore.
La sofferenza oscura è nel tempo patico
Trovare è sempre cercare qualcosa che si riconosce.
Nulla si troverebbe, se ciò che si trova non fosse già costituito.
Masullo, 1965
Ogni qual volta si cerca di afferrare il tempo interiore dei pazienti esso è sfuggente, inafferrabile, misterioso; lo è finanche già qui per noi, dinanzi presente alla coscienza riflettente. Non solo perché non vi è alcuna esperienza umana nella quale il tempo che si vive ci sia dato come decifrabile, ma poiché non esiste una vita interiore priva di un tempo patico sentito, avvertito; un punto zero (origine) fuori dal tempo (il tempo prima del tempo, il vissuto interiore percepito senza la dimensione del tempo presente) che la coscienza può ritagliarsi come punto di partenza (per cominciare a osservare il decorrere di una durata o riflettere sulle tracce del tempo passato nella psiche). Ogni psicoterapia è legata al pathos, allo scambio emozionale dell’accadere; diviene connessione intrecciata di logos (dialogo), corpo vissuto ed espressione personale (narrazione individuale) e assorbe i temi della sofferenza e del loro significato (interpretazione). Il percorso ha tratti solitari e sembra costituirsi come storia di vari tentativi di incamerare la dimensione del suo tempo interiore di fronte agli imprevisti quotidiani.
Il tempo ch’io sono – un bersaglio, ogni volta colpito dall’accadere di me a me stesso – è solitario. Non meno solitario è la verità, che in definitiva non dipende se non dalla mia credenza, e di cui pertanto, se restare ingannati è la rovina, io ed io soltanto sono dinnanzi a me responsabile.4
Non si tratta, durante la malattia psichica del paziente, soltanto di valutare una temporalità intrinseca alla persona (interiorizzata in base al costrutto di personalità), ma anche di tener presente una temporalità del processo del prima e del dopo (tempo durata) in cui il paziente entra in relazione tramite la sua coscienza riflettente. Ora, questo livello di temporalità nella sofferenza/cura è insieme costituito e costituente di un vissuto interiore: è costituito giacché assume il tempo come principio base della condizione affettiva; è costituente dal momento che influisce su ogni cosa retroattivamente: su ciò che pensiamo, proviamo, sperimentiamo e, in generale, sulle modalità e le visioni dell’esperienza stessa di vita. Come direbbe Heidegger:
La temporalità non risulta dalla somma «temporale» di avvenire, esser-stato e presente. La temporalità non «è» assolutamente un ente. Essa non è, ma si temporalizza.5
L’Esserci è il mio essere di volta in volta, e quest’ultimo può essere tale in ciò che è futuro, nel precorrere che va al non più certo ma indeterminato. L’esserci è sempre un una modalità del suo possibile essere temporale. L’esserci è il tempo, il tempo è temporale.6
Occorre anche dire che i vissuti contengono in sé non solo la storia del paziente ma il vasto mondo delle percezioni, suggestioni ed emozioni. Espressioni di questo genere suggeriscono due equivoci riguardo al tempo patico del paziente. In primo luogo, che si tratti, quando riflettiamo del tempo (che avvertiamo come “vivo”), di un evento reale (un ricordo non sarà tuttavia mai reale e neppure lo sarà una immagine/idea del futuro) o di un riferirsi reale che si svolge tra lʼinteriorità e ciò che appare cosciente; in secondo luogo, che descriva di un rapporto tra due “cose” che si possono realmente trovare in egual modo nella coscienza, lʼatto e lʼoggetto intenzionale, come se un contenuto psichico fosse parte di un tutto. Pertanto debbono essere evitate quelle espressioni che contengono un invito formale al fraintendimento del rapporto sofferenza-temporalità, di questo rapporto come se esso fosse psicologico-reale e appartenesse al contenuto reale del vissuto. Dinanzi a una sofferenza psichica il tempo patico, a volte, si arresta nella sua evoluzione: non ha più futuro – solo presente e passato –, con conseguente dilagare delle esperienze di colpa, con il franare della speranza come apertura al futuro e al cambiamento.
La temporalità è la fascia che avvolge nelle sue volute multidimensionali, cioè pancroniche, un osservato (cioè l’accadere dell’accadere) che muta senza posa, un magma in cui ogni singolo accadimento deve essere continuamente rinominato per il suo mutevolissimo suo rapporto con tutti gli altri accadimenti che si presentano sincronicamente insieme a lui e che scorrono diacronicamente accanto a lui.7
In genere, rispetto alla cura del tempo interiore, è utile, dopo aver constatato un guasto o distorsione temporale, adottare tre strategie, con e per il paziente, durante una terapia: considerare attentamente (o mettere in risalto) quello che il paziente vuol dire e intende comunicarci (anche inconsapevolmente) quando parla della sua storia personale (a ritroso, o proteso in avanti nel futuro-attesa) nel fluire del tempo-durata che lo attraversa; considerare come strumento di analisi e di cura del modo con cui egli esprime il suo tempo patico (area semantica-espressiva-linguistica) nell’interazione clinico-utente, valutando quello che desidera comunicarci e osservando le reazioni ideative e comportamentali messe in atto dinnanzi al guasto/distorsione temporale che ha incamerato; considerare tutte le formule e strategie adottate dal paziente rispetto al tempo interiorizzato: rifiuto, accettazione, rassegnazione, opposizione, contrasto e negazione, sforzo verso il mutamento di ogni accadimento, spostamento; ossia l’andamento generale.
Ritengo che tener presenti tali modi di accogliere e affrontare il tempo patico durante una psicoterapia costituisca un campo di osservazione clinica fondamentale, nonché un utile esercizio sia per il paziente che per il terapeuta: un nuovo sentiero sperimentale e innovativo verso la cura.
Si potrebbe iniziare a domandare: come si rapporta il paziente rispetto al suo presente, passato o futuro? È consapevole del suo legame al tempo, o cronodesi, e del vivere in una epoca basata sull’ipertempo (tirannia del presente)? Appare consapevole del legame esistente tra la sofferenza e l’intuizione percettiva del tempo interiore?
Chi scrive è consapevole che vi siano tanti modi di riflettere, rifiutare e accogliere il tempo patico nella coscienza riflettente, così come vi sono tanti modi di legarsi agli accadimenti della storia collettiva, agli orizzonti (cronodesi). Il paziente ha l’opportunità di accettare o negare la durata del flusso del tempo, “il sentire/sentirsi”, di cogliere il prima e il dopo di ogni accadimento nel mentre si rapporta a sé e agli altri.
La retentio, la praesentatio e la protentio non sono fenomeni isolati della temporalizzazione; ma sono momenti della sintesi unitari delle operazioni intenzionali costitutive dell’oggettività temporale: Nella melanconia […] la sintesi unitaria è diversamente difettosa: in essa non si indeboliscono e non si annullano contestualmente retentio e protentio, come avviene nella mania, ma di volta in volta la protentio è infiltrata di momenti retentivi, e la retentio di momenti protentivi […]. Si deve allora parlare di un difetto della struttura degli atti intenzionali temporali; e, in fondo, di una perdita da parte dell’esperienza di possibilità temporali intenzionali, o trascendentali.8
In tutti i modi, come per ogni persona, anche il paziente prova a collocare la dimensione del tempo nell’arco della vita quotidiana. Dinanzi alla percezione del suo tempo interiore, il paziente sembra adottare diverse strategie. Egli tenta (o può tentare), in base all’esperienza clinica, di rifiutare tutto ciò che rappresenta il suo tempo vissuto; accettare tutto ciò che accade nel presente o che è accaduto nel passato; rassegnarsi, ossia rinunciare ad accogliere e vivere il tempo presente (poiché il tempo passato è divenuto lacerazione e inquietudine); opporsi in maniera tenace al tempo durata (al prima e al dopo): protrarsi, in maniera ossessiva, verso le cose che possono avvenire solo in futuro; contrastare e negare ogni forma di tempo privo di una scelta, non deciso o determinato a livello personale; spostare il tempo presente nelle altre forme temporali; traslare il tempo interiore al tempo della cronodesi (dare più importanza agli accadimenti temporali della storia). Gli accadimenti di vita del paziente sembrano infatti potersi ripensare quale sforzo personale delle strategie messe in atto per fronteggiare o esorcizzare le distorsioni temporali soggettive e, come scritto in altri lavori9, lo sforzo del terapeuta appare quello di contribuire a far sì che il paziente possa essere aiutato a superare il guasto temporale inteso come rottura delle trame del discorso psichico, tra passato, presente e futuro, con ricadute negative in avanti (protensione) o all’indietro (blocco e rievocazione).
Il tempo procede un capovolgimento di senso – perché diventa esso il ‘soggetto’, ciò che agisce e determina il senso.10
Ogni cura, proprio partendo dal tempo patico (analisi, comprensione e azione verso nuove prassi di percezione/comprensione del tempo), permette di valorizzare il mutamento del paziente rispetto alla sua relazione con la sofferenza oscura, alle capacità di indipendenza, d’invenzione e di autonomia e libertà personale.
[…] la temporalità è pronunziabile come immersione nelle successioni o gradi subepocali con le loro contrastanti e talora laceranti impressioni ideologico-culturali-patiche, come protensione inarrestabile al futuro e come telicità propria dei processi vitali […] come coincidenza irrimediabile fra trasformazione e temporalità […] come unica forma possibile di comprensione dell’altro (comprensione per anticipazione), come storia della propria vita e passione del proprio futuro.11
Ma occorre anche ricordare, come indica Piro (2005), come oltre il tempo patico esista una temporalità legata alla storia, pronunziabile come immersione nelle successioni o gradi sub-epocali con le loro laceranti impressioni culturali-patiche e politiche, come protensione inarrestabile al futuro e come telicità propria dei processi vitali, come immanenza trasformazionale, coincidenza necessaria fra prassi e mutamenti epocali, unica forma possibile di comprensione dell’altro (comprensione per anticipazione) e slancio passionale verso il futuro. Ora, tutti gli accadimenti si presentano sincronicamente insieme alla persona e scorrono diacronicamente accanto a essa.
Dunque la pancronia degli osservati antropici fluenti non è la descrizione astratta di una Zeitlichkeit, bensì una temporalità fungente in cui l’immersione cronica ben si delinea come scorrere diacronico di una complessità sincronica brulicante.12
È anche utile ricordare come nella cura due fattori sembrano fondamentali: aver consapevolezza, durante la terapia, del tempo patico e aver consapevolezza della cronodesi (legame agli orizzonti presenti nel campo antropico in un determinato arco storico). Questi due aspetti giocano un ruolo importante, proprio rispetto alla sofferenza psichica.
In realtà la comprensione del tempo come vissuto interiore, patico, può aiutare ogni clinico a tracciare una mappa di obiettivi per l’applicazione clinica e la psicoterapia. Il tempo patico, se vissuto in maniera positiva, è pur sempre accadimento innovativo, contingenza, trascendenza, scorrimento, cura di una relazione tra paziente e mondo. Oggi abbiamo ben chiaro come l’immagine del continuo muoversi del tempo esterno alla persona, tra il prima e il dopo e del tempo patico (interiore, soggettivo), del succedersi di orizzonti temporali, si leghi fortemente ai processi di coscienza, ed ha senso solo se, congiuntamente con le dimensioni fungenti (cronodesi e ipertempo), risulta clinicamente utile per la cura. Sappiamo anche che durante una sofferenza
Cambia anche la percezione del tempo, che smarrisce la sua naturalezza e la sua spontaneità, il suo movimento senza fine dal presente al passato e dal presente al futuro, il suo scorrere senza discontinuità fra il tempo dell’orologio e il tempo dell’io, il tempo vissuto, che a volte fugge con la velocità del suono quasi non consentendoci alcuna riflessione, e a volte si muove con lentezza esasperante immergendoci in vortice di pensieri immobili e pietrificati.13
Siamo dinnanzi, partendo dalla temporalità, alla ricerca di rapporti positivi delle persone con la collettività, con l’intreccio dei mutamenti di un dato periodo della storia e con i mutamenti personali rispetto alla triade presente-passato-futuro.
Ed è grazie al patico, e a ciò che appunto “sente”, che il paziente viene invitato a interagire con gli accadimenti umani (previsti, anticipati, repentini, casuali) e a “sentire” il mutamento verso la cura come scelta possibile: la coscienza interiore, irriducibile alla ragione discorsiva con gli altri, è in primis protesa verso noi stessi. La cura psicologica, almeno nel campo della clinica, è il prolungamento delle problematiche segrete, intime, private legate al guasto temporale (persona-tempo vissuto). Ed è nel tempo patico che taluni aspetti (segreti, intimi, privati) ritrovano la loro massima forza tra consapevolezza e inconsapevolezza; è nel tempo patico che l’autoriflessione rimane parzialissima, lacerata e mutevole: il paziente può, in qualche modo, cogliersi, percepirsi, avvertirsi, nel continuo lacerarsi e scontrarsi del mondo degli accadimenti temporali. Ora, nel nostro caso, ciò che definiamo come guasto temporale assume dignità di osservato speciale legato alla temporalità umana – o in quanto osservati dalla coscienza o in quanto osservati di un percorso sui modi di vivere delle persone, tra gioie e sofferenze. La cura è una ricerca sul tempo patico del paziente rispetto al suo destino, al flusso interiore, al mutamento; ha un esito positivo quando produce un mutamento personale (un mutamento delle visioni del tempo interiore), analizza, ripristina e rinsalda, positivamente, il tempo vissuto del paziente alla cronodesi (orizzonti del tempo); quando trasforma colui che soffre in un viandante (viaggiatore del tempo) che sa usare il suo tempo interiore, soprattutto il tempo presente, per comprendere cosa accade in sé e nel mondo, per slargare orizzonti, per sostituire all’odio la protensione verso la vita.
Bibliografia
- Masullo, A. (2023). L’arte della felicità. Napoli: Colonnese, 72-73; cfr. Masullo A., Il tempo e la grazia. Donzelli: Roma, 1995. ↩︎
- Bergson, H. (2000), Lʼevoluzione creatrice. Milano: Cortina, 53; Cfr. Benini, A. (2020), Neurobiologia del tempo. Milano: Raffaello Cortina. ↩︎
- Borgna, E. (2020). Nei luoghi perduti della follia. Milano: Feltrinelli, 29. ↩︎
- Masullo, A. (2003). Paticità e indifferenza. Genova: Il melangolo, 74. ↩︎
- Heidegger, M. (2011). Essere e tempo. Milano: Mondadori, 491. ↩︎
- Heidegger, M. (1998). Il concetto di tempo. Milano: Adelphi, 48. ↩︎
- Piro, S. (2005). Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale. Napoli: La Città del Sole, 160. ↩︎
- Binswanger, L. (2015). Melanconia e mania. Studi fenomenologici. Torino: Boringhieri, 12. ↩︎
- Errico, G. (2024). Il tempo è ovunque e da nessuna parte: I limiti in cui si dà il tempo interiore nella sofferenza mentale, Phenomena Journal, 6, 30-43. ↩︎
- D’Ippolito, B.M. (2014). Dialettica e pathos nel pensiero di Aldo Masullo in Cantillo, G. – Giugliano, D. Milano: Mursia, 33. ↩︎
- Piro, S. (2005). Op.cit., 160. ↩︎
- Borgna, E. (2018). Il tempo e la vita. Milano: Feltrinelli, 111. ↩︎
- Piro, S. (1997). Introduzione alle Antropologie trasformazionali. Napoli: La Città del Sole, 541. ↩︎