I Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DCA) sono patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo (Fairburn, 2002). Tra questi disturbi troviamo, oltre a quadri conosciuti come Anoressia, Bulimia nervosa e Disturbo da Binge-Eating, anche disturbi alimentari provenienti dalle classificazioni dedicate all’infanzia, quali Pica, Disturbo da ruminazione e Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo.
Tra i vari modelli di intervento utilizzati nei DCA, il Gold standard di riferimento è la CBTE che si propone di intervenire fin dalle primissime sedute sulla regolarizzazione delle condotte alimentari e sul nucleo psicopatologico centrale, definito come “l’eccessiva valutazione di peso e forma del corpo”, attraverso tecniche cognitive e comportamentali (Dalla Grave et al., 2020). Ad oggi, la sua efficacia sembra consistere nella capacità di intervenire precocemente sulle errate abitudini alimentari e compensatorie (Byrne et al., 2002; Lampard, Tasca, et al., 2013). Tuttavia, l’efficacia rimane limitata, attestandosi attorno al 50% (Poulsen et al., 2014; Wallter et al., 2014) con un drop-out elevato, stimabile attorno al 24% (Linardon, 2018).
A partire da questi limiti, nasce la necessità di reindirizzare il trattamento dei disturbi alimentari, tenendo conto non solo della necessità di regolarizzare le condotte alimentari, ma di intervenire anche su alcuni fattori presenti nei diversi DA che potrebbero contribuire al suo mantenimento e che fino a ora sono stati solo in parte affrontati. Tra questi, le ricerche sottolineano che un ruolo centrale sia ricoperto da: perfezionismo, alessitimia, difficoltà nella regolazione emotiva, nella percezione e rappresentazione di sé e nella presenza di problemi interpersonali (Harrison et al., 2010; Hartmann et al., 2010; Lavender et al., 2015; Ung et al., 2017). È, inoltre, necessario tener conto che i disturbi alimentari hanno in circa il 50% dei casi in comorbidità almeno un disturbo di personalità (Eielsen et al., 2017).
A partire da queste considerazioni, abbiamo ipotizzato che la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) (Dimaggio et al. 2013; 2019), inizialmente elaborata e manualizzata per il trattamento dei disturbi di personalità (Dimaggio et al., 2015), e successivamente adattata a pazienti che presentavano comorbidità tra disturbi di personalità e altri quadri sintomatologici (Dimaggio et al., 2015), possa essere un modello di intervento promettente nel trattamento dei DA, andando ad intervenire sulle dimensioni del disturbo appena descritte.
Abbiamo quindi sviluppato un protocollo di intervento in cui la TMI è adattata a tali disturbi (TMI – DCA) che si focalizza su:
1) normalizzazione della condotta alimentare e del peso;
2) schemi interpersonali maladattivi;
3) malfunzionamento metacognitivo;
4) coping disfunzionali.
Nell’ottica TMI, infatti, i comportamenti alimentari problematici non sono altro che coping disfunzionali, che si attivano per gestire il dolore emotivo legato all’attivazione degli schemi maladattivi interpersonali. Secondo la TMI, l’essere umano è guidato da bisogni nucleari sani (wish) collegati a sistemi motivazionali: attaccamento/accudimento, sistema agonistico, esplorazione/autonomia e inclusione nel gruppo.
Lo schema interpersonale maladattivo si forma in seguito a ripetute esperienze in cui il proprio bisogno sano di essere amabile, stimabile, incluso nel gruppo o in grado di scegliere autonomamente il proprio percorso di vita viene invalidato sistematicamente dall’altro significativo.
A fronte di ripetute esperienze di invalidazione si generano delle immagini nucleari di sé ricollegabili al bisogno frustrato. Infatti, se di fronte alla necessità di essere amato, l’altro significativo risponde sistematicamente in modo critico o sprezzante, si creerà non solo un’immagine nucleare di sé come persona non amabile, ma l’individuo arriverà a pensare che, anche quando manifesterà il bisogno di essere amato al di fuori di questa prima relazione significativa, gli altri risponderanno in modo critico e sprezzante. Detto in altri termini, si forma uno schema, ovvero una modalità di previsione stabile su come l’altro reagirà di fronte alla manifestazione di un nostro bisogno. A questo punto, per gestire il dolore emotivo legato all’idea di essere, ad esempio, non amabile o stimabile, la persona svilupperà delle modalità (coping) disfunzionali per avvicinarsi al soddisfacimento del bisogno. A fronte di un’immagine nucleare negativa persiste la speranza che il bisogno possa essere prima o poi soddisfatto, ma questa speranza rimane flebile, spesso poco presente nello stato di coscienza e soprattutto ritenuta non possibile. Per sopperire a ciò, la persona sviluppa delle modalità di coping alternative, spesso maladattive, per cercare di soddisfare il bisogno primario.
Frequentemente, ad esempio, nel paziente con DCA si genera l’idea secondo cui se perde peso o raggiunge una fisicità ideale potrebbe essere amabile, o stimabile, o incluso nel gruppo, a seconda di quale schema maladattivo interpersonale è attivo e ricollegabile al coping DCA. Scopo della terapia TMI-DCA è, quindi, quello di regolarizzare il rapporto con il proprio corpo e con il cibo aiutando il paziente a normalizzare il peso e le condotte alimentari attraverso tecniche sul sintomo, che sono psicoeducative (es. il ruolo che la restrizione ha nel slatentizzare abbuffate fisiologiche da mancanza di macronutrienti essenziali), comportamentali (es. la porzionatura degli alimenti) e cognitive attraverso la ristrutturazione delle credenze patogene associate al DCA (es. l’etichettamento non accurato di sensazioni fisiche, che si trasformano nella sensazione di essere “grasso”). Ma soprattutto, diventa fondamentale aiutare il paziente a riconoscere a quale bisogno (wish) sottostante il disturbo alimentare e il desiderio di perdere peso rispondono, in modo tale da aiutarlo a soddisfare in modo più adattivo e funzionale il bisogno nucleare sano sottostante il coping DCA.
Di seguito viene riportato un esempio: Giada, 53 anni, intraprende un percorso di terapia per un Disturbo da Binge-Eating che dura un anno, in trattamento ambulatoriale con setting privato. A inizio percorso riporta un BMI di 41.5, ovvero è in una condizione di obesità di II grado con episodi di abbuffate giornaliere. Le abbuffate sono comportamenti alimentari anomali, in cui si ingeriscono piccole (abbuffate soggettive) o grandi (abbuffate oggettive) quantità di cibo in assenza di controllo sulla condotta alimentare. Giada ha un passato bulimico e anoressico a fasi alterne. Quando inizia la terapia prova tutti i giorni a intraprendere una dieta restrittiva e tutti i giorni “fallisce” adottando comportamenti alimentari bulimici in tarda serata. In seguito a questi episodi entra in uno stato depressivo che la porta ad evitare i contatti sociali e ad andare a dormire.
In terapia capiamo che Giada oscilla tra due immagini nucleari di sé negative all’interno di due schemi maladattivi interpersonali. La prima è collegata al sistema agonistico: Giada non si è mai sentita all’altezza del padre, e desidera essere magra perché solo così, proponendo agli altri un’immagine fisica inappuntabile, ritiene di poter essere stimata. La seconda appartiene al sistema motivazionale dell’attaccamento: Giada è sempre stata trascurata da sua madre che, oltre a mostrare neglect emotivo, rimproverava sé stessa e la figlia perché riteneva che il mancato amore del marito fosse imputabile al fatto che erano brutte e sovrappeso. Di conseguenza da un lato non forniva cure e attenzioni a Giada, e dall’altro sistematicamente si metteva a dieta, invitando anche la figlia a farlo, per poter avere l’amore del padre.
Da qui, Giada sviluppa l’idea che essere magra, o avere un corpo perfetto, la renderebbe più amabile.
Quando uno dei due bisogni fallisce e Giada entra in contatto con le immagini dolorose di sé inadeguata, sola e trascurata, non ha strumenti di autocura efficace. In parallelo, dopo tentativi eccessivi di restrizione, che erano finalizzati a farla diventare magra e quindi amabile, la sera effettua delle abbuffate, come conseguenza ad un mancato controllo emotivo.
In psicoterapia, il lavoro è volto da un lato alla regolarizzazione delle condotte alimentari attraverso una dieta apposita (stilata dalla dietista) e finalizzata alla gestione dell’introito calorico, e dall’altro a ricostruire gli episodi narrativi in modo che Giada si renda conto che il dolore emotivo che innescava i comportamenti alimentari disfunzionali derivava dall’idea di non meritare né amore né apprezzamento. Una volta consapevole dell’origine storica di questi timori, il lavoro terapeutico consiste nel farla entrare in contatto con immagini alternative di sé in cui si vede amabile e apprezzata, mettendo in atto comportamenti più adattivi quando il dolore emotivo riaffiora. In parallelo, in terapia si utilizzano alcune tecniche di mindfulness adattate alla TMI (MIMBT, Ottavi et al., 2021) per imparare a regolare l’impulsività e la conseguente disregolazione emotiva che conduce alle abbuffate emotive quando entra in contatto con le immagini nucleari del sé negative.
Viene inoltre prestata attenzione all’attivazione degli schemi interpersonali nella relazione terapeutica, che le rendevano difficile utilizzare in modo benefico la terapia. Infatti, Giada è orgogliosa di venire in terapia quando perde peso, mentre salta il colloquio se ha comportamenti di abbuffata poiché prova sentimenti di inadeguatezza e vergogna, aspettandosi di essere criticata dal clinico. In seduta la terapeuta e Giada hanno analizzato come sentisse sistematicamente la necessità di eseguire test relazionali sul terapeuta per assicurarsi di essere stimata, esattamente come fa in tutte le altre relazioni. La condivisione del suo funzionamento in seduta, assieme alla Self-disclosure (auto-svelamento) del terapeuta, che condivide come lei stessa abbia sottoposto a test relazionali gli altri significativi agendo i propri schemi interpersonali, fa sentire Giada capita, riconosciuta e le permette di non solo di riconoscere l’automatismo al test relazionale ma anche di scegliere di non agirlo, permettendosi di instaurare una relazione terapeutica che tocca anche altri sistemi motivazionali.
Questa differenziazione rispetto allo schema le permette di sperimentare un nuovo assetto relazionale e di accedere, nella psicoterapia, a una modalità cooperativa, che le permetterà di comprendere e agire sul suo funzionamento, migliorando la capacità di differenziarsi da tutti i suoi schemi, e implementando le sue capacità di agency, ovvero la credenza di poter intervenire attivamente, anziché subire, il disturbo. Il riconoscimento del ciclo interpersonale agonistico attivo in seduta è parte fondamentale della risoluzione della patogenicità delle relazioni nel mondo reale, poiché Giada riesce a interrompere i test relazionali anche all’esterno del setting terapeutico.
Un elemento importante è stato anche aiutare Giada a riconoscere quanto fosse sempre guidata dai tentativi disperati di essere amata e apprezzata, trascurando invece la dimensione dell’esplorazione e della curiosità. Giada si è resa conto di questo e con la terapia è stato concordato di intraprendere attività per lei desiderate e piacevoli (quali partecipare al coro del paese) che le hanno permesso di vivere sia la dimensione ludica che la sensazione di appartenere al gruppo. Nutrire questi aspetti è fondamentale per il mantenimento dei risultati, perché danno alla persona un senso di libertà, di agency, aumentano i sentimenti positivi e quindi riducono il terreno sul quale in passato si impiantavano i sintomi alimentari.
Ad oggi le sue condotte alimentari non risentono più del bisogno di restringere o di abbuffarsi. Giada riesce a muoversi nel mondo delle relazioni guidata da idee nucleari, che sono affiorate durante la terapia, di sé come persona amabile e degna di stima e a dedicare parte delle sue energie a esplorare, giocare all’interno di gruppi ai quali sente di appartenere. Il peso si è stabilizzato nel range del sovrappeso non patologico (BMI=28).
Bibliografia
Dimaggio, G., D’Urzo, M., Pasinetti, M., Salvatore, G., Lysaker, P. H., Catania, D., & Popolo, R. (2015). Metacognitive interpersonal therapy for avoidant personality disorders and substance abuse. Journal of Clinical Psychology: In-Session, 71, 157–166. doi:10.1002/jclp.22151.
Dimaggio, G., Semerari, A., Carcione, A., Nicolò, G., & Procacci, M. (2007). Psychotherapy of personality disorders: Metacognition, states of mind and interpersonal cycles. London: Routledge.
Dimaggio, G., Valeri, S., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G., & Montano, A. (2014). Adopting metacognitive interpersonal therapy to treat narcissistic personality disorder with severe somatization. Journal of Contemporary Psychotherapy, 44, 85–95. doi:10.1007/s10879-013-9254-8.
Dimaggio,G., Carcione, A., Salvatore,G., Semerari, A., & Nicolo, G. (2010). A rationalmodel for maximizing the effect of regulating therapy relationship in personality disorders. Psychology and Psychotherapy:Theory, Research and Practice, 83, 363–384. doi:10.1348/147608310×485256
Harrison, A., Sullivan, S., Tchanturia, K., & Treasure, J. (2010). Emotional functioning in eating disorders: Attentional bias, emotion recognition and emotion regulation. Psychological Medicine, 40(11), 1887–1897. https://doi.org/10.1017/ S0033291710000036
Hartmann, A., Zeeck, A., & Barrett, M. S. (2010). Interpersonal problems in eating disorders. International Journal of Eating Disorders, 43(7), 619–627. https://doi.org/10.1002/eat.20747
Jenkins, P. E., Hoste, R. R., Meyer, C., & Blissett, J. M. (2011). Eating disorders and quality of life: A review of the literature. Clinical Psychology Review, 31(1), 113–121. https://doi.org/10. 1016/j.cpr.2010.08.003
Lavender, J. M., Wonderlich, S. A., Engel, S. G., Gordon, K. H., Kaye, W. H., & Mitchell, J. E.(2015). Dimensions of emotion dysregulation in anorexia nervosa and bulimia nervosa: A conceptual review of the empirical literature. Clinical Psychology Review, 40, 111–122. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2015.05.010
Treasure, J., Zipfel, S., Micali, N., Wade, T., Stice, E., Claudino, A., Wentz, E., Frank G. K., Bulik C. M., & Wentz E. (2015). Anorexia nervosa. Nature Reviews Disease Primers, 1, 15074. https://doi.org/10.1038/nrdp.2015.74
Ung, E. M., Erichsen, C. B., Poulsen, S., Lau, M. E., Simonsen, S., & Davidsen, A. H. (2017). The association between interpersonal problems and treatment outcome in patients with eating disorders. Journal of Eating Disorders, 5, 53. https://doi.org/10. 1186/s40337‐017‐0179‐6
Zeeck, A., Herpertz‐Dahlmann, B., Friederich, H.‐C., Brockmeyer, T., Resmark, G.,
Hagenah, U., Hartmann, A., Cuntz U., Zipfel S., & Hartmann A. (2018). Psychotherapeutic treatment for anorexia nervosa: A systematic review and network meta‐ analysis. Frontiers in Psychiatry, 9, 158 https://doi.org/10. 3389/fpsyt.2018.00158
Zipfel, S., Giel, K. E., Bulik, C. M., Hay, P., & Schmidt, U. (2015). Anorexia nervosa: Aetiology, assessment, and treatment. Lancet Psychiatry, 2(12), 1099–1111. (WOS:000366093600031). https://doi.org/10.1016/s2215‐0366(15)00356‐9
Eielsen H. P., Vrabel K. A., Hoffart A., Rø O. & Rosenvinge J. H. (2022). Reciprocal relationships between personality disorders and eating disorders in a prospective 17- year follow-up study. International Journal of Eating Disorders 55(12):1753-1764. doi:10.1002/eat.23823. Epub 2022 Oct, 10