Siamo in Italia, a Milano. Spesso piove, ci sono le nubi, il cielo è grigio. Antonio Dorigo s’invaghisce, innamora, impadronisce, ossessiona, insospettisce, addolcisce, si sottomette a Laide, una ragazzina conosciuta in un luogo di appuntamenti privato. Nella vita sembra essere una ballerina della Scala e ogni segnale del corpo lo comunica e conferma. Laide è stilosa, con le gambe affusolate, il busto eretto, il collo teso, il portamento elegante. Antonio, invece, è un architetto. A dividerli c’è il mondo, vissuto, scrutato e interpretato con gli occhi di un 49enne e di una minorenne. Un gap di molti anni, ricchi di esperienze personali decisamente lontane: giovinezza contro adultità ritagliati sullo scenario degli anni Sessanta.
Antonio è completamente inconsapevole della fusione dolorosa che vive con la ragazza, totalmente lontana da lui e indifferente a ogni forma di legame sentimentale. Egli crede che quello sia il modo più completo d’amare. Trascorsa la fase iniziale di passione idealizzata, il nostro protagonista attua tutta una serie di strategie per restare legato a lei, quelle che in psicologia chiameremmo “strategie di coping”. Si sottomette e diventa compiacente ad ogni richiesta di Laide che, nella sua mente, si trasforma in ordine; attende ore interminabili durante i suoi spostamenti, la vede prepararsi ed eccitarsi per incontri con cugini, amici e parenti vari che si riveleranno soltanto altri clienti a pagamento. La giustifica, raccontandosi che è solo un modo per comprenderla a fondo e per starle vicino. Crede ciecamente ad ogni racconto di Laide evitando di notare la realtà dei fatti, troppo difficile da accettare perché significherebbe accettare di dividerla con altri e di non essere l’unico nella sua mente. Ed ecco che Antonio propone a Laide un patto: paga e compra il suo tempo, il suo corpo, la sua presenza. Si garantisce, così, una bolla d’amore fatta di piccoli attimi di finta felicità che lo aiutano nella sopravvivenza in giornate che, altrimenti, scorrerebbero sempre uguali. Laide accetta la proposta restando distaccata sentimentalmente e continuando a sentirsi soffocare dalla gelosia dell’uomo che riesce a controllare con bugie e sotterfugi vari. Questo la fa sentire potente, l’unica conduttrice del gioco. Solo alla fine Antonio inizia a capire di non aver mai visto lo stato reale delle cose e a fatica le accetta, senza però spostarsi da quella posizione di sudditanza. Di fronte allo smascheramento di bugie, Antonio entra in contatto anche con la paranoia, con l’ossessione, con la necessità di scrutare, seguire, quasi pedinare Laide che, imperterrita, nega ogni evidenza pur sentendo, di tanto in tanto, una stridente paura di perderla.
“Ripresero a trovarsi come prima. Anzi, più spesso ma dinanzi a sé, Antonio, non riusciva a scorgere luce. Anzi, di giorno in giorno, con l’abituale inquietudine, cresceva un sentimento oscuro come se un termine, una conclusione, una catastrofe stesse avvicinandosi. Più che mai capiva che un atto di forza, una completa e definitiva rinuncia sarebbe stata la salvezza. Non se ne sentiva capace. Con ossessione dolorosa il suo pensiero era sempre concentrato su di lei. Che cosa faceva, dov’era, con chi era, che trucchi stesse complottando. E come l’uomo sulla zattera nel mezzo dell’immenso fiume, pur non distinguendo le sagome delle rive nelle tenebre, si accorge che la corrente accelera, trascinandolo verso una ignota fossa, così Antonio, senza sapere né spiegare il perché, sentiva approssimarsi la scadenza inevitabile ch’egli aveva continuato a rinviare con insensata ostinazione.”
Il testo si divide in due momenti: un inizio lento, romantico, aulico, riflessivo per poi virare in una narrazione dal ritmo serrato, veloce, confuso e confondente. “Quella specie di gorgo da cui si era lasciato agganciare quasi un anno fa serrava progressivamente il suo ritmo. La discesa si convertiva in precipizio.” È la rappresentazione interna di Antonio che cambia: dall’amore idealizzato alla sottomissione, all’inquietudine, dal desiderio fantasioso alla realtà. Antonio si racconta attraverso un flusso inconsapevole di pensieri che si avvitano intorno all’ossessione per la ragazza, alla ricerca di ogni minuzioso dettaglio a prova della sua sincerità, monitorando costantemente la relazione con Laide senza mai chiedersi a cosa serva tutto questo. Proprio come ogni strategia di fronteggiamento che si rispetti, Antonio sembra essere momentaneamente aiutato nella tolleranza del dolore emotivo per poi restare completamente incastrato nella sua dipendenza, alimentandola in continuazione.
Luce e ombra, pace e caos, amore e…amore. Sì perché il punto di svolta interna del protagonista risiede nella consapevolezza che l’unico modo possibile di ricevere e dare amore sia questo. È una relazione di dipendenza ed è l’unica concessa. Essa si sovrappone ad ogni altro modo di amare, sempre che ne esistano di altri. La riflessione finale che possiamo fare è proprio questa: quanti amori esistono?
Buzzati scrive “…con potenza d’amore per quello che fu e mai ritornerà e nello stesso tempo un confuso presentimento di cose che un giorno verranno, forse, perché la musica vera è tutta qui, nel rimpianto del passato e nella speranza del domani, la quale è altrettanto dolorosa. Poi c’è la disperazione dell’oggi, fatta dell’una e dell’altra. E fuori di qui altra poesia non esiste.”
Antonio fa vedere benissimo come il proprio funzionamento interno, costruitosi nel corso del tempo, in base a chissà quali esperienze di vita, a cui non accenna neppure vagamente, rifletta uno specifico modo di stare con l’altro. Un modo votato alla difesa, alla vicinanza solo tramite controllo per paura di perdere improvvisamente presenza. Al contrario, come si sentirebbe Antonio? Questo non è dato saperlo. Ci conduce con mano nella sua mente, ma come ogni processo inconsapevole è molto lontano dal vero significato: a cosa serve tutto questo? Antonio sa esattamente da cosa vuol proteggersi? Perché si sente vivo, vitalizzato solo attraverso la vicinanza fisica di Laide? Come mai si concede solo un amore carnale, crudo, viscerale facendosi bastare frame veloci di affetto affettuoso? E perché prima di conoscere Laide non vi era stato minimo interesse per le relazioni?
Il finale, estremamente interessante, lascia uno scenario aperto su un futuro poco chiaro. Probabilmente Antonio continuerà a ruminare, a monitorare, a farsi bastare ogni fuggente sguardo di Laide credendo che questo equivalga ad essere felice. È questo il destino di chi si accende e spegne, si vitalizza e devitalizza, si fortifica solo con la presenza di un altro rifugiando l’assenza. Chissà se Antonio scorgerà altri amori, se si permetterà nuove esperienze. Intanto, Dino Buzzati, attraverso questo lungo monologo interiore, racconta “un” amore. Eppure l’articolo indeterminativo non rende giustizia a un processo interno che pare confinato al rapporto con Laide ma che, nella realtà, sembra essere il solo e unico modo che Antonio possa concedersi. Con Laide e con chiunque altra. Chissà se, a questo punto, Buzzati non avrebbe trasformato “un” amore in “l’“ amore.