La prima volta che ho incontrato Peppe Dell’acqua eravamo, naturalmente, a Trieste. Per me non era un uomo in carne e ossa, ma un pezzo di Storia, un pezzo di storia di cui mi sono innamorato, un pezzo di Storia che diventa storia personale. E di quella prima volta ricordo poco: il parco di San Giovanni, le rose, le salite, il posto delle fragole, i baffi di Peppe; e ricordo il mio imbarazzo, il corpo che si ritrae, la mascella serrata, lo stomaco in subbuglio, le mani nelle mani.
La seconda volta che ho incontrato Peppe Dell’Acqua eravamo, naturalmente, a Salerno. Un altro Peppe mi aveva chiesto se volevo intervistarlo. Figuriamoci, ho pensato; tu sei matto, ho pensato. Sìcazzovogliofarlo, ho pensato. E di quella seconda volta ricordo la paura. Dove c’è la tua paura lì c’è il tuo compito, diceva quello. Il mio compito era: fargli delle domande sensate sulla Storia di cui è stato protagonista, sulla (povertà della) psichiatria, sui manicomi, su Basaglia. Imbarazzo, dicevano; la paura stiamo dicendo: farò domande intelligenti sensate adeguate? cosa ne penserà lui? Dirò o faro qualcosa fuori posto? Sarò all’altezza della Storia che ho di fronte?
I maestri sono fatti per essere mangiati, diceva quell’altro. Ma Peppe Dell’Acqua (metaforicamente s’intende) si mangia da solo. Al suo fianco, o di fronte come quella volta a Salerno, il desiderio di mangiarlo, di dimostrarsi alla sua altezza se non di più scivola via, come marea stanca. Peppe Dell’Acqua si mangia da solo, si spoglia della Storia e si fa storia; si spoglia d’autorità, si veste di umanità, tenacia e vicinanza. Un attimo prima è l’allievo di Basaglia, un attimo dopo è Peppe. La storia di Basaglia e della sua squadra è una storia di ritrovata vicinanza, di riconoscimento; è una Storia che diventa corpo quando Peppe ti guarda e ti chiede come ti chiami e da dove vieni. E lo fa sempre di chiederti da dove vieni, come se la geografia dello spazio segnasse i punti di una geografia intima, dell’incontro corpo a corpo. Al sud da dove vieni diventa a chi appartieni, e Peppe ogni volta sembra chiederti questo: a chi appartieni, chi sei, chi siamo noi due insieme in questa stanza mentre parliamo. A chi apparteniamo? Apparteniamo a questa Storia Peppe, apparteniamo a una Storia rivoluzionaria che con la tua testimonianza diventa la nostra storia. Un passato che ci appartiene e un futuro radioso di invenzioni, di racconti, di parole nuove e luminose.
Tra parentesi, la vera storia di un’impensabile liberazione è uno spettacolo teatrale che racconta questa Storia. Andate a vederlo se volete che questa Storia diventi un pezzo della vostra carne, della vostra biografia. Se desiderate sapere com’è che l’impensabile è diventato pensabile; se desiderate (con utopia e un pizzico di sana ingenuità) cambiare il mondo.