EpistemologiaSalute mentale

Una riflessione sui servizi psichiatrici e di salute mentale

Il presente si presenta come contributo di risposta all’intervista a Benedetto Saraceno a cura di psicologiafenomenologica.it (qui il link).

Caro Prof. Saraceno,

ho seguito con molto interesse “l’ultima lezione“ su Psicologia Fenomenologica. Credo abbia delineato una crisi della psichiatria che parte dal ruolo degli operatori, da tecnici a mediatori con il contesto sociale, allo stato dei Servizi come nuove istituzioni che si autoriproducono sterilmente portando ad una perdita di senso in un quadro più generale di riduzione dei diritti, delle organizzazioni e delle risorse necessarie per renderli esigibili. Il pensiero critico è necessario per considerare il sistema in evoluzione, in una dinamica capace di affrontare le contraddizioni e l’atmosfera dei tempi. Il ciclo della storia, dopo le dittature nazifasciste, il sistema del welfare pubblico universale, con l’affermarsi del neoliberismo e della globalizzazione sta portando ad una crisi che investe sempre di più le democrazie, tanto da parlare di democrature. Credo che stiano cambiando i riferimenti, le domande e che non siano più sufficienti le risposte. Tuttavia in questo voluto dissesto sarebbe un errore non difendere ideali, utopie, ma anche diritti e organizzazioni. La loro insufficienza, i limiti che le caratterizzano, gli errori non possono essere utilizzati come giustificazioni per la loro liquidazione. È importante capire quanto è stato fatto e rappresentare quanto c’è e farlo diventare bene comune. A volte prevale una lettura liquidatoria dell’attuale situazione sotto la spinta di diversi poteri con i quali la psichiatria deve fare i conti. Quello politico che non credo voglia più cambiare la 180 ma aspiri a farlo dopo aver modificato cultura e Costituzione. In questo aiuta la psichiatrizzazione del disagio per poi dimostrare la sua insufficienza rispetto alla complessità dei problemi. Complessità che, come ha giustamente detto, va riportata ad essere il metodo di analisi contro ogni riduzionismo e semplificazione. Ciò significa cogliere l’insieme dei bisogni e ragionare diversamente sulle risorse. Per alimentare la speranza ritengo importante partire da alcune domande.  

Quale risposta dare alle persone con disturbi mentali in un Paese ad alto reddito come l’Italia? È un problema del quale il welfare pubblico universale intende farsi carico? E in che misura?

Siamo abituati a partire dall’idea che la risposta a queste domande sia affermativa e ciò lascia in secondo piano la crisi del patto sociale, della Costituzione della Repubblica oggi oggetto di un’ennesima proposta di modifica. Siamo ancora un Paese ad alto reddito?

O per lo meno per il welfare occorre prendere atto che il definanziamento del Servizio Sanitario, Nazionale e Regionali porta gravi difficoltà ad assicurare assistenza di base, specialistica e ospedaliera. Anche servizi sanitari territoriali, coevi alla 180, come consultori familiari, sanità pubblica e medicina del lavoro, l’assistenza ai disabili, medicina generale e pediatria di libera scelta sono fortemente in crisi. Ma anche le cure oncologiche e palliative.

Il neoliberismo in oltre 40 anni ha portato alla crisi di sopravvivenza l’intero welfare pubblico. Questo rende sempre meno esigibili i diritti di cittadinanza, in primis alla salute ma anche al lavoro, alla casa, all’istruzione, educazione, ai servizi sociali con essa strettamente correlati. È noto infatti quanto siano rilevanti i determinanti sociali della salute. La crisi della psichiatria si inserisce all’interno di questa crisi che riguarda tutta la sanità compresa la medicina generale, servizi sociali, scuola, agenzie per la casa. 

Il nodo è il patto sociale: quel patto che ha a che fare sul come si costruiscono e mantengono e quindi si finanziano i servizi di tutti e per tutti. Un patto sociale che punta alla privatizzazione considera problemi dei singoli diseguaglianze, povertà e abbandono. Ciascuno per sé, al massimo si considera la famiglia. Se la salute non è più un diritto, un bene comune, relazionale e interdipendente, si apre un altro scenario. Una situazione che vista più da vicino prevede non tanto una privatizzazione del “pagatore”: è troppo utile alla maggior parte del Paese avere servizi pubblici gratuiti senza contribuirvi in alcun modo, senza pagare alcuna tassa. Un insieme di servizi ai quali ci si può rivolgere gratis mentre se ne possono attivare altri, quelli privati, in base alla disponibilità economica. In questo quadro la privatizzazione rischia di riguardare l’erogatore/produttore che sembra diventare sempre più privato e meno pubblico. L’organizzazione della salute mentale in Italia non è distante da questo modello. E ben sappiamo cosa voglia dire separare programmazione-progettazione, erogazione e valutazione. L’erogatore, a partire dai suoi interessi e punti di vista, nel tempo ridefinisce l’intero processo dalla programmazione-progettazione alla valutazione.

La pandemia sembrava poter rilanciare la prospettiva del welfare pubblico universale, ma così non è stato.[1] Fin dall’inizio è prevalsa una lettura schizoparanoide, proiettiva e rivendicativa (lo Stato deve risarcire) e non depressiva solidale in base alla quale ciascuno, di fronte alla crisi dà il meglio, si mette a disposizione, paga tasse anche straordinarie se può. Dalla pandemia stiamo lentamente uscendo con un sistema sanitario provato, stanco, in crisi. Gli operatori, idealizzati come “eroi” della prima fase, sono di nuovo oggetto svalutazioni e dimenticanze, quando non anche di attacchi verbali o addirittura aggressioni. Anche la loro sofferenza diventa privata e invisibile. Il sistema sanitario fa sempre più fatica ad assicurare il Medico di Medicina Generale e persino il Pronto Soccorso. Forme contrattuali privatistiche, cooperative forniscono a medici e infermieri altro rispetto a competenze professionali maturate, costruite con pazienza e senso di appartenenza. La crisi della disponibilità di medici specialisti e infermieri è gravissima e riguarda tutta la medicina, compresi servizi per la salute mentale.

Questa situazione implica che le persone prendano coscienza dolorosamente di avere perso diritti e i servizi necessari per renderli esigibili. Quelle con disturbi mentali, pur con la 180 non li hanno ancora pienamente raggiunti, rischiano di vedere a rischio anche quelli conquistati. In primis il diritto a vivere liberamente nella comunità dove persiste un forte stigma e pregiudizio, se non adeguatamente supportati. La risposta coercitiva e istituzionalizzante potrebbe tornare ma comporta pur sempre investimenti che sono in riduzione. La programmazione nazionale prevede che il finanziamento per la sanità calerà al 6,1% del Prodotto Interno Lordo (PIL) con un’inflazione intorno al 10%. Le Regioni rischiano il fallimento per il mancato riconoscimento delle spese per il Covid e per i crescenti costi energetici, conseguenti alla guerra. Si profila quindi una riduzione dei servizi che avrà come conseguenza un incremento dell’abbandono. Il “terzo escluso” potrebbe diventare maggioranza deviante.

Quale risposta dare, in un Paese che quasi mette in discussione il salvataggio del naufrago e la sua accoglienza?

Se siamo al limite del rispetto dei diritti umani appare lontana la definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e LEPS (Livelli Essenziali di Prestazioni Sociali). Li definirà lo Stato oppure saranno le polizze assicurative dei singoli cittadini a precisarli, in contratti dipendenti dal premio versato?

E per gli altri: trascuratezza e abbandono. O come propone un recente Disegno di Legge  avremo il Servizio Nazionale Assistenza Anziani, una sorta di sistema sanitario parallelo per cercare di far fronte alla crescita della cronicità, della non autosufficienza alla quale le famiglie sempre più piccole, fragili fanno sempre più fatica a gestire nel territorio. Una questione che riguarda anche la psichiatria di fronte a persone sole, senza diritti, senza mezzi, senza futuro.

Il rischio di una neo istituzionalizzazione è elevata e ad oggi l’offerta di posti residenziali (per anziani, disabili, ed al.) sono 415 mila. In questo quadro di riduzione delle risorse, quelle presenti possono incanalarsi verso nuove residenze e quindi nuove istituzioni.

La privatizzazione apre la via anche alla destrutturazione del Servizio Sanitario Nazionale, già molto diverso in ogni Regione e che l’approvazione dell’Autonomia differenziata potrebbe ulteriormente accentuare. Se passerà una forte destrutturazione il rischio è quello che dell’attuale organizzazione psichiatrica restino solo i pezzi forti ospedalieri e residenziali, desertificando i territori.

La concezione dei diritti e l’andamento del welfare sono fondamentali per la psichiatria e l’organizzazione dei servizi. La 180 ha molti punti positivi: l’organizzazione dipartimentale, la continuità ospedale/territorio, l’integrazione con il sociale, tutti elementi che sono alla base anche della riforma delle Cure Primarie (DM 77/2022). 

Quindi i Dipartimenti di Salute Mentale pur con tutti i loro limiti e le tante differenze, possono essere un esempio per una salute di comunità. Se la crisi è di sistema la psichiatria può superarla solo con un sistema di alleanze, con utenti, familiari, altri servizi a partire dalla medicina generale, servizi sociali, articolazioni del mondo produttivo e dell’associazionismo. Facendo comprendere che la salute e il benessere sociale di un territorio sono un investimento fondamentale anche per le attività economiche. Senza salute non si produce né si commercia. Quindi il ruolo del capitale sociale (welfare, ma anche di cultura, arte, sport, filosofia e religione) andrebbe attentamente studiato, valutato e implementato, specie di fronte a società multiculturali e ai profondi cambiamenti dovuti alla rivoluzione digitale e alle modifiche ambientali.

Che fare di fronte all’incomprimibile presenza di persone con disturbi mentali gravi?

La risposta italiana è quella di un sistema di salute mentale di comunità, senza Ospedali Psichiatrici civili e giudiziari. Siamo al punto avanzato di un grande percorso unico al mondo, pur carico di difficoltà e contraddizioni, che ha portato ad una salute mentale di comunità che si prende cura. Diversa nei territori ma carica di significato e di libertà. Un punto di arrivo e di prospettiva che non dobbiamo mai dimenticare e sempre valorizzare perché nulla è dato per sempre. 

Siamo in grado di mantenere un sistema di questo tipo? Nonostante le difficoltà dei servizi essi presentano una persistente vitalità e ricchezza e fanno pensare che si possa andare avanti nonostante i diversi problemi. Sono, infatti, note le difficoltà della psichiatria a fronte di un aumento di domanda legata anche alla pandemia, alla carenza di psichiatri e infermieri che pur essendo diffuse in tutto il Paese, vedono significative differenze regionali. Lo stesso per quanto attiene il livello di finanziamento che non raggiunge il 5% della spesa sanitaria come previsto dall’Accordo Stato Regioni, ma si ferma al 3%.

Gravi errori nella programmazione della formazione e il sottofinanziamento portano ad una sofferenza generalizzata e in certe realtà hanno già determinato la chiusura di servizi o il loro accorpamento con proteste e ripercussioni che raramente superano l’ambito locale. Darne notizia, pubblicarne l’elenco a livello nazionale sarebbe molto utile. Ma se i servizi vengono chiusi e nulla succede, la strada del ridimensionamento è ampiamente tracciata e va dalla rassegnazione al declino.

Credo vada detta con chiarezza la verità: senza risorse il sistema è a rischio non di sopravvivere alla meno peggio, ma di esistenza. È questo il senso dell’appello che i Direttori di Dipartimento hanno mandato alle Istituzioni. Poi con risorse carenti intensità, sicurezza e qualità delle cure non possono essere garantite. 

Tuttavia va detto che da sempre il divario tra domanda e offerta pubblica è strutturale: la prevalenza dei disturbi mentali nella popolazione è stimata in circa 4 milioni di persone e i servizi pubblici arrivano a seguire circa 800 mila cittadini. Ricordo anche che i manicomi al momento della massima espansione negli anni Sessanta del secolo scorso assistevano 100 mila pazienti. 

Una risposta dovrà essere data e si tratta di prendere atto che occorre aumentare le risorse. Personalmente penso che per affrontare questa situazione, per prevenire i disturbi e i suicidi (quasi 4.000 per anno), prendere in cura precocemente, comporre conflitti e contraddizioni, siano necessari approcci olistici (One Health, planetary health) affinché la salute mentale diventi una componente essenziale della salute nell’intero arco di vita, a partire dalla gravidanza. Quindi una competenza di tutti, in primis i medici e gli operatori sanitari e sociali che riguarda l’intera comunità, politica inclusa. A tal fine è necessaria un’azione culturale e un’ampia alleanza politica e sociale che sappia cogliere la rilevanza e l’interazione reciproca di fattori biologici, psicologici, sociali, culturali e ambientali. La salute mentale è un diritto, una componente essenziale della salute, è un investimento indispensabile per il funzionamento sociale ed economico, è un bene comune al fine del benessere sociale di comunità. Un cambio culturale e di approccio che certamente deve prendere atto di quanto la salute mentale sia stata trascurata da PNRR e DM 77/2022. Pochi e tardivi gli interventi compreso un discutibile e insufficiente “bonus psicologo”. Resta tuttavia da strutturare un intervento nelle Cure Primarie secondo le Linee Guida per ansia e depressione e forme di coinvolgimento di psicoterapeuti privati. Senza affrontare i (micro)determinanti sociali non si potrà avere salute, compresa quella mentale. 

Qual è oggi la situazione? 

Essa andrebbe analizzata a livello di ogni singola Regione. Dai dati del Rapporto salute mentale[2] a livello nazionale emerge che è attiva una rete di servizi radicati nel territorio, costituita da dipendenti pubblici (29.785), operatori degli Enti del Terzo Settore e del privato imprenditoriale convenzionato/accreditato (11.949) spesso con alte competenze professionali, motivazione ed etica.

Un patrimonio di tutto rilievo, di oltre 40 mila operatori, cui vanno aggiunti i molti che collaborano con i servizi come convenzionati, Amministratori di sostegno, volontariato, gruppi di auto mutuo aiuto di utenti e familiari che costituiscono una salute mentale di comunità, senza Ospedali psichiatrici civili e giudiziari. 

Di fronte alle sofferenze, al disagio e all’insoddisfazione di utenti e famiglie che chiedono di più e di meglio alla sanità (ore di assistenza, colloqui, ecc.) ma anche al sociale (sostegno al reddito, al lavoro, alla casa) occorre una risposta di sistema e preventiva. Va sostenuto il welfare familiare con servizi di comunità, prossimità e domiciliari. Le persone e le famiglie lamentano anche isolamento e solitudine, povertà economiche e culturali, deprivazioni relazionali. Per questo è necessario un lavoro di rete che consenta di attivare le risorse informali, il vicinato, le relazioni di prossimità che supportano nella reciprocità le persone e le famiglie. Un tessuto che in diversi contesti si è indebolito e lacerato ma è ancora molto presente, da proteggere, rinforzare e riattivare. Va sottolineata l’importanza dei fattori di budget non economici.[3]

Nel 2021[4] la psichiatria di comunità ha seguito circa 778.737 persone (manca la regione Calabria) pari al 1,58% della popolazione adulta. Ben 274.804 persone hanno avuto il primo contatto con i servizi. 

Nel 2021 le 1983 Residenze psichiatriche hanno ospitato 27.813 persone mentre nel 2016 erano 31.593. Una riduzione di quasi il 12%. Quindi non è vero che il sistema residenziale psichiatrico sia in espansione. È invece meno dinamico visto che la durata media del trattamento è stato di 1.124 giorni contro una durata di 673,9 giorni del 2016. 

Un prolungamento della permanenza che da un lato testimonia difficoltà di dimissione e inclusione sociale e dall’altro evidenzia come le Residenze siano ormai la sede di riferimento per i percorsi giudiziari post OPG e alternativi alla REMS. Un approccio che al tempo stesso rischia di facilitare una deriva giudiziaria penale dei problemi relazionali, di disagio, psichiatrici o dipendenze mettendo in crisi l’assunto che l’inclusione sociale sia ancora un obiettivo comune a tutti gli approcci.

La richiesta sembra essere quella di ridurre i “disturbanti”, tenerli sotto controllo e di contribuire a tutelare ordine pubblico e persino il decoro urbano. Temi caldi per la politica pronta a raccogliere gli umori di un’opinione pubblica attenta alle sensazioni più che ad un’accurata analisi dei dati. Si pensi a quelli sulla criminalità in costante diminuzione ma percepiti in crescita con un sottile legame con i disturbi mentali rilanciato dai fatti di cronaca o dallo stato degli istituti di pena.

Bisogna augurarsi che i malati mentali, dopo i migranti, non siano al centro di una nuova campagna politica che ovviamente coinvolgerebbe anche i servizi psichiatrici e la loro articolazione. I tentativi di riformare la 180 è stata una costante dei governi di centro destra. 

Nel 2021 negli SPDC si sono avuti 78.950 ricoveri di cui il 7% (5.538 in TSO) e una degenza media di 12,8 giorni; le consulenze psichiatriche in Pronto Soccorso sono state 479.276 (nel 2016 erano 575.416), pari al 3,3% degli accessi e sono esitate in oltre il 72% dei casi con il rientro a domicilio. 

Secondo la Società Italiana Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), per 100 mila residenti i posti ospedalieri sono 9,7 e quelli residenziali 51,2; in totale 60,9. La stessa dotazione del Regno Unito con la differenza che in quel Paese la quota ospedaliera per 100 mila è 50,63, gli Ospedali Psichiatrici 7,99, mentre i posti residenziali sono 2,28. In USA i posti complessivi sono 56,09 di cui 22,29 residenziali. 

I dati sembrano indicare un’efficacia del nostro sistema di comunità anche in riferimento al numero complessivo di detenuti: per 100 mila abitanti in Italia abbiamo 100 detenuti; nel Regno Unito 125; negli USA 666. Numeri che per quanto attiene l’Italia potrebbero essere decisamente migliori con una riforma della legge sulle droghe. Le strutture ci sono e come si diceva può essere migliorato il turnover.

I dati forniti dal Ministero Salute segnalano che la “dotazione complessiva del personale all’interno delle unità operative psichiatriche pubbliche, nel 2021, risulta pari a 29.785 unità” e “applicando lo standard di 6,7 operatori per 10.000[5] si ottiene un organico su base nazionale corrispondente a 33.423 operatori“[6] ai quali, per raggiungere gli standard dell’Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2022 andrebbero aggiunti anche i circa 6000 operatori dedicati ai SPDC e nei Rapporti conteggiati come “territoriali”. 

Al 31 dicembre 2015 gli operatori erano 31.586, rispetto ai 29.785 del 2021. Sono venuti a mancare 1.801 operatori. Quindi è necessario procedere ad un piano di assunzioni come delineato dal recente Accordo Stato Regioni.

Nel 2016 la spesa complessiva era 3.605.794.000 euro passati a 3.217.015.000 nel 2021. Una diminuzione di 388.779.000 (pari al 10,8%) che ha riguardato in larga misura servizi territoriali.

La spesa media pro capite (residenti adulti), nel 2016 di 75,5 euro, è scesa a 67,5 euro. Una differenza di 8 euro. Questo è accaduto in una fase nella quale la psichiatria italiana si è fatta carico anche della chiusura degli OPG. 

Narrare la memoria, investire sulle persone e costruire alleanze e speranze.

Nonostante persista il TSO e avanzino anche richieste di “patti di rifioritura” e di “coazione gentile”, di “giustizia terapeutica” il percorso di cura deve basarsi su consenso, motivazione, partecipazione, responsabilità e diritti. Deve essere precoce, in grado di aumentare le possibilità di guarigione anche attraverso le funzioni educanti e curanti di famiglie e contesti scolastici e sociali. Sappiamo quanto sia difficile e delicato “l’aggancio”. La sofferenza dei giovani è indice di una crisi multilivello, di una perdita di speranza e di un’assenza di un futuro pensabile della propria vita.

Bisogna investire per assicurare l’accessibilità dei servizi. Questa è molto diversa ma un presidio di territorio è presente. Collegandolo a cure primarie e servizi sociali, alle Case della Comunità, è possibile un significativo miglioramento fornendo ascolto, prevenzione, interventi precoci e appoggio ai malati e sostegno alle loro famiglie. Questo passa anche per il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza (formazione, lavoro, reddito, casa) e di doveri e responsabilità. Occorre dare futuro professionale a tanti giovani, anche nella salute mentale. I percorsi di cura visti in modo unitario, strutturati per Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA) e per intensità di cura possono essere migliorati, prestando maggiore attenzione ai giovani, ma tenendo sempre al centro la persona, la sua famiglia, le sue relazioni nella comunità sociale. L’Istituzione inventata (Rotelli, 2015)[7] e la “citta che cura” (2019)[8] si creano mediante la connettanza e il radicamento nella comunità ove possono crescere Servizi di comunità e prossimità.

Infine pur riconoscendo la rilevanza dell’analisi di Eugenio Borgna e raccogliendo il suo accorato messaggio, credo che l’agonia culturale di una psichiatria riduzionista e oggettivante, incentrata sul modello biologico e farmacologico, non possa esimerci dall’interrogarci sull’oggetto della psichiatria e il suo statuto epistemologico.

Approcci fondati sul modello biopsicosociale, culturale e ambientale, una diffusa rete di competenze, di diversi orientamenti (fenomenologici, psicodinamici, sistemici, multifamiliari, psicosociali, ecc.) talora hanno arricchito le pratiche, le relazioni e le dinamiche istituzionali ma talora sono rimaste solo affermazioni di principio lontane dal “praticamente vero”. 

Restano ancora ampiamente presenti SPDC restraint e Residenze fondate sull’intrattenimento. Molto resta da fare per garantire i diritti (Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, la legge 18/2009) e riportare la Cooperazione sociale alle funzioni proprie di impresa sociale (formazione, lavoro, socialità, cultura).[9]

Una speranza viene dagli utenti sempre più presenti e attivi tramite iniziative di auto mutuo aiuto, Utenti esperti, le associazioni capaci di coinvolgere la società civile, la politica. Stimoli importanti per mantenere alto il livello culturale, tecnico e scientifico, onde evitare un appiattimento su Manuali diagnostici e Linee Guida, assai poco utilizzabili nei contesti e nelle pratiche reali.  

Vi sono difficoltà che ho cercato di rappresentare in modo sommario e incompleto. Non siamo in agonia, ma attivi e vitali. Il mondo della salute mentale è abituato alle crisi, al disconoscimento, all’ingratitudine.

La consapevolezza della forza e del valore del sistema di salute mentale di comunità implica una sua difesa multilivello a partire dalle pratiche più fragili, colte e di prossimità al fine di mantenere approcci che vadano verso le persone, le accolgano nel nostro mondo interno e nell’immaginario resistendo ad ogni linea che porti all’abbandono e a neo istituzionalizzazioni. Dal passato[10] vengono pensieri, speranze e sogni che attendono vecchi e nuovi pensatori e sognatori, tra cui mi piace pensare Benedetto Saraceno.

Grazie!

Bibliografia

Gallio G., Cogliati Dezza M.G. (2018). La città che cura. Microaree e periferie della salute. Alphabeta Verlag.

Pellegrini P., Ceroni P., Soncini C., Dall’Aglio R. (2019). Soggetto, persona, cittadino. Budget di Salute. Esperienze in Emilia Romagna. Alphabeta Verlag.

Peloso P. (2022). Ritornare a Basaglia? La deistituzionalizzazione nella psichiatria di ogni giorno. Erga Edizioni.

Peloso P. (2023). Franco Basaglia. Un profilo. Carocci Ed.

Rotelli F. (2015). L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2010. Alphabeta Verlag.

Rotelli F. (2021). Quale Psichiatria? Taccuino e lezioni. Alphabeta Verlag, 2021.

Saraceno B. (2017). Sulle povertà della psichiatria. DeriveApprodi.

Saraceno B. (2021) Un virus classista. Pandemia, diseguaglianze e istituzioni. Alphabeta Verlag. 

Saraceno B. (2022). Salute globale e diritti. Conversazioni sulla cura e la salute mentale. DeriveApprodi.


[1] Saraceno B. Un virus classista. Pandemia, diseguaglianze e istituzioni. Alphabeta Verlag 2021.

[2] Ministero della Salute. Rapporto 2021. Analisi dei dati del Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM), Ottobre 2022.

[3] Pellegrini P. I budget per la salute mentale. Sestante 08, dicembre 2019, 19-25.

[4] Salute mentale sempre meno finanziata. Tra il 2016 e il 2021 taglio del 10,7% alle risorse, di Pietro Pellegrini. QS, 20 gennaio 2023.

[5] Intesa Stato-Regioni, 21.12.22. Metodo per la determinazione del fabbisogno di personale del SSN.

[6] Starace F. Salute mentale: organizzazione, strutture e personale. Cosa prevede il decreto con i fabbisogni approvato dalla Stato-Regioni. Quotidiano Sanità, 13 gennaio 2023.

[7] Rotelli F. L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2010. Alphabeta Verlag , 2015.

[8] Gallio G., Cogliati Dezza M.G. La città che cura. Microaree e periferie della salute. Alphabeta Verlag, 2018.

[9] Rotelli F. Quale Psichiatria? Taccuino e lezioni. Alphabeta Verlag, 2021.

[10] Peloso P. Ritornare a Basaglia? La deistituzionalizzazione nella psichiatria di ogni giorno. Erga Edizioni, 2022.

 

Pietro Pellegrini

Medico psichiatra e psicoterapeuta. Lavora nel servizio pubblico dal 1981 ed ha maturato esperienze nella salute mentale dell’infanzia, adolescenza, adulti e nelle dipendenze patologiche. Dal 1999 ha svolto diversi incarichi di direzione e dal 2012 a tutt’oggi è Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Parma. Dal luglio 2022 ad oggi svolge le funzioni di Subcommissario Sanitario dell’Ausl di Parma.

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