“Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua sapienza”
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra (1883-1885)
Nella storia del pensiero occidentale, il concetto di corpo ha avuto alterne vicende. Fin dall’antica Grecia il corpo è sempre stato concepito in relazione, in opposizione e persino come “carcere, tomba” dell’anima (della mente-cervello). Spesso visto come un aspetto “negativo”, un “blocco”, un “freno” per la normale attività della nostra “psiche”, spesso considerato non determinante per comprendere la nostra individualità. Un’individualità che il pensiero occidentale ha, per molto tempo, relegato alla sola parte razionale, intellettiva, attribuendo a questo “logos” una nobiltà senza corpo, senza sensazioni, senza passioni, senza carne.
L’articolo si propone di ripercorrere alcune riflessioni sul concetto di “corpo”, in un’ottica storico-filosofica e psicoterapeutica. Il corpo oggigiorno viene sempre più rivalutato all’interno degli interventi psicoterapeutici; ma, il corpo in relazione al tema della nostra identità ha avuto un lungo travaglio nel pensiero occidentale.
Molte correnti di pensiero hanno sempre dato una forte, corretta e sicuramente fondata importanza alle rappresentazioni, ai contenuti mentali che l’essere umano si dà; ai significati che l’essere umano costruisce. Questo, però, al costo e al rischio di dimenticarsi che prima di “pensarlo” il mondo, lo dobbiamo “sentire/percepire”.
Questi sentiti e percepiti avvengono, molto rapidamente all’interno di una temporalità pre-cognitiva/categoriale, ma pur sempre reale e presente. Si continua ad essere dimentichi che la nostra “prima porta d’ingresso” per dire/cogliere qualcosa sul/del mondo, è il nostro corpo.
Inizieremo e ripercorreremo alcune risposte che il pensiero occidentale ha dato alla domanda sulla “psiche, l’io, l’individualità”; a volte considerando, a volte alienando il corpo.
Presenteremo, poi, il contributo fenomenologico di Merleau-Ponty e il contributo di Umberto Galimberti. La parte finale del contributo riguarderà il pensiero di Thomas Fuchs, espresso nell’opera “Ecologia del Cervello: Fenomenologia e Biologia della Mente Incarnata”[1].
Iniziamo, facendo riferimento ad una vecchia manifestazione sportiva dell’antica Grecia[2]: “…verso il 470 a.C. a Delfi, un giovane vince una prestigiosa gara equestre su strada: la corsa delle quadrighe. Per celebrare la sua vittoria gli viene dedicata una statua in bronzo, nota col nome di “statua dell’auriga vincitore di Delfi”. Ma la statua non riproduce fedelmente l’atleta che ha vinto; esprime invece un ideale di uomo che è autentico solo se piega a proprio vantaggio la forza fisica e le passioni del cuore, tramite l’intelligenza. L’auriga incarna un ideale di uomo sotto il segno del logos che rimanda ad una individualità che è semplicemente e solo: “intelligenza”. Un’individualità composta, senza squilibri che riesce a dominare la “corsa della vita”. Ma, in realtà, in questo sforzo di dominio, l’auriga di Delfi cela un ideale di uomo più enigmatico e transitorio; è latente un logos sempre in dialogo con una parte transitoria, mobile che può rendere insicura la corsa dell’auriga stessa; il cammino della vita. È questa una parte non legata al logos, una parte che rende la vita non totalmente pensabile”[3].
Da questo spunto iniziale, proponiamo alcune delle varie risposte (che per chiari limiti di tempo e spazio non possiamo approfondire) date nel corso della storia occidentale, partendo dall’antica Grecia.
Nel pensiero antico[4], troviamo diverse risposte alla tematica: “l’uomo non è il suo corpo, ma è la sua anima, intesa soprattutto come sede dell’intelligenza” (Alcibiade Maggiore – Platone); “l’anima è la forma sostanziale del corpo” (L’anima – Aristotele); “l’uomo è un composto materiale di atomi” (La natura della cose – Lucrezio); “l’uomo è io individuale” (Confessioni – Agostino).
Nel pensiero moderno si fa riferimento a due questioni “Che cosa sono le passioni?”[5] e “Che cos’è la mente?”[6]: “le passioni sono prodotte dall’interazione fra mente e corpo” (Le passioni; Lettere sulla morale – Cartesio); “le passioni sono idee inadeguate” (Etica – Spinoza); “le passioni sono condizionate dalla società” (Emilio – Rousseau) – “la mente è una sostanza immateriale (dualismo delle sostanze)” (Sesta meditazione – Cartesio); “la mente è una sostanza inestesa o materia estesa pensante?” Saggio sull’intelligenza umana – Locke); “la mente è una successione di vissuti privi di integrazione” (Trattato sulla natura umana – Hume); “la mente è l’unità della coscienza che accompagna una qualsiasi successione di vissuti” (Critica della Ragion Pura – Kant).
Nel pensiero contemporaneo si fa riferimento alle questioni “Chi sono io?”[7] e “Che cos’è la mente?”[8]: “l’io come alter ego” (Meditazioni cartesiane – Husserl); “lo sguardo dell’altro” (L’Essere e il Nulla – Sartre); “la coscienza dell’io” (Principi di psicologia – James); “l’interazione tra l’io e il me” (Mente, Sé e Società – George H.” Mead); “l’io e le passioni dell’inconscio” (L’Io e l’Es – Freud) – “un test di intelligenza per computer” (Calcolatori e intelligenza – Turing); “la soluzione del problema mente-corpo è nel cervello” (Mente, Cervello e Intelligenza – Searle); “la mente sconosciuta dei pipistrelli” (Che cosa si prova a essere un pipistrello? – Nagel).
Tutte queste proposte alienano, contrappongono, negano, esaltano, mettono in “complicate relazioni con”, il nostro corpo. Ci mostrano come la tematica del corpo sia stata sempre presente nella riflessione occidentale; ma ci mostrano anche (riferendoci alla parte terapeutica), come sia forte la necessità, per chi cerca di “aiutare” le persone, di una concezione dell’io e dell’individuo, più realistica e più rivalutativa della nostra corporeità.
Veniamo a Merleau-Ponty (Rochefort-sur-Mer 1908- Parigi 1961)[9]: la sua riflessione ruota attorno al tema dell’esistenza quale essenza dell’uomo. Per Merleau-Ponty il punto di partenza è l’abbandono del dualismo cartesiano tra anima e corpo, tra coscienza e mondo. Studiando a Lovanio gli scritti inediti di Husserl, egli scopre la rilevanza dei concetti di intenzionalità e di mondo-della-vita; questi, consentirebbero di sfuggire alla falsa alternativa tra idealismo e realismo: quindi, priorità del soggetto o dell’oggetto, dell’io o del mondo[10]. La sua “fenomenologia” è legata al concetto di “percezione”; secondo Merleau-Ponty il rapporto originario con il mondo si costruisce attraverso il corpo, la cui dimensione fondamentale è data dall’esperienza vissuta della percezione. Il mondo è ciò che percepiamo e la fenomenologia si configura essenzialmente come descrizione delle modalità di percezione. Il corpo risulta essere anteriore e irriducibile alla contrapposizione, costruita a posteriori dalla riflessione e dalle scienze fisiologiche, tra soggetto e oggetto, tra coscienza e mondo. Il corpo è l’unità indistinta e naturale di questi poli: una mano che tocca è al tempo stesso toccata e viceversa, ossia il soggetto del sentire è al tempo stesso oggetto sentito e viceversa.
Merleau-Ponty pensava “la carne come perno del mondo”[11]: quando si pensa alla carne, intesa come corporeità (si pensi al paradigma cartesiano che la qualifica come res extensae la differenzia dalla res cogitans), la si pensa/intende come qualcosa che è “là fuori” e che si può misurare e collocare nello spazio, secondo coordinate cartesiane. Quello che Merleau-Ponty compie è un interessante tentativo di uscita da tale dicotomia, sviluppando una “percettologia” originale, al di là della distinzione tra coscienza e oggetto.[12] Diversamente dalla comprensione positivista dell’esperienza, Merleau-Ponty resta fedele al dato percettivo originario, a un dato non riletto da quel cartesianismo che i positivisti hanno fatto acriticamente proprio. L’utilizzo delle classiche categorie di soggettivo vs. oggettivo, di corporeo vs. reale, va rigettato; l’uscita dal dualismo, in Merleau-Ponty, si fonda sul fatto che il nesso corpo-mondo non è contrappositivo, ma si mutua inclusione[13].
Entriamo ancor più nella tematica del “corpo”, presentando sinteticamente il testo di Umberto Galimberti “Il corpo”.
Nell’introduzione possiamo trovare vari spunti[14]: “…di volta in volta, durante la storia, il corpo è stato vissuto in conformità alla logica e alla struttura dei vari saperi, come organismo da sanare, come forza-lavoro da impiegare, come carne da redimere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere…”; “…il corpo, nell’universo simbolico delle società primitive, non era quello che noi conosciamo oggi come entità anatomica isolabile dalle altre entità che compongono il mondo oggettivo e che identifichiamo come sede della singolarità di ogni individuo…il corpo era il centro dell’irradiazione simbolica, per cui il mondo naturale e sociale si modella sulle possibilità del corpo, e il corpo si orienta nel mondo tramite quella rete di simboli con cui ha distribuito lo spazio, il tempo e l’ordine del senso…”; “…il corpo visto come corpo comunitario…il corpo di un bambino non nasce quando esce dall’utero di sua madre, ma quando la madre lo dona alla comunità, instaurando quella prima forma di scambio simbolico che vieta la proprietà non solo dei beni ma anche dei figli…in questo modo il corpo del bambino, fin dalla più tenera età, entrava in contatto con una quantità di altri corpi, era maneggiato da tante mani”.
Il testo[15] sottolinea l’ambivalenza del pensiero occidentale rispetto al corpo nella/per la nostra “costruzione di significati e di senso” del/nel (nostro) mondo; vediamone qualche passaggio. Platone, con la sua filosofia, impone il passaggio dalla terra materiale/corporea, al cielo ideale che solo l’anima liberata dal corpo può raggiungere; la materia diventa un impedimento/ostacolo all’acquisizione della verità”. Nel Fedone[16] si legge: “…fino a quando possediamo il corpo e la nostra anima ne resta invischiata, non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che desideriamo, ovvero la verità; pertanto, ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni con il corpo e comunione con le necessità”. Nella religione biblica il sacrificio del corpo rientra nell’economia della salvezza; Paolo di Tarso, nella Prima lettera ai Corinti[17]: “Si semina un corpo naturale e risorge un corpo spirituale. Vi dico infatti, fratelli, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità”. Nell’epoca moderna, la ragione cartesiana oggettiva il corpo; Cartesio, nelle Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima (1641), scrive: “Noi non concepiamo i corpi se non per mezzo della facoltà di intendere che è in noi, e non per l’immaginazione, né per i sensi; e non li conosciamo per il fatto che li vediamo o li tocchiamo, ma solamente per il fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero”. In epoca contemporanea Galimberti stesso richiama le parole di Merleau-Ponty: “Se è vero che io ho coscienza del mio corpo attraverso il mondo, se è vero che esso è, al centro del mondo, il termine inosservato verso il quale tutti gli oggetti volgono la loro faccia, è anche vero, per la stessa ragione, che il mio corpo è il perno del mondo; in questo senso ho coscienza del mondo per mezzo del mio corpo” (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione – 1945, p.130)[18]. “Lo spazio non è l’ambito (reale o logico) in cui le cose si dispongono, ma il mezzo in virtù del quale diviene possibile la posizione delle cose. E questo perché lo spazio è un certo possesso del mondo da parte del mio corpo, una certa presa del mio corpo sul mondo” (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione – 1945, pp. 326, 334)[19]. “La comunicazione o la comprensione dei gesti è resa possibile dalla reciprocità delle mie intenzioni e dei gesti altrui, dei miei gesti e delle intenzioni leggibili nella condotta altrui. Tutto avviene come se l’intenzione dell’altro abitasse al mio corpo o come se le mie intenzioni abitassero il suo corpo” (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione – 1945, p. 256)[20].
Passiamo al pensiero Thomas Fuchs.
Scrive Veronica Iubei[21] [22]: “Fuchs lancia una garbata ma solida provocazione alle correnti teorie sul cervello umano; non l’orchestratore dell’attività mentale, non il contenitore dell’io o della coscienza, ma più semplicemente un organo di mediazione tra l’ambiente e il corpo inteso come unità percettiva e recettiva. Secondo il modello cognitivista, il cervello sarebbe deputato all’assemblaggio di informazioni incapsulate in meccanismi computazionali e la coscienza figurerebbe come un mero correlato neurale. Osserva Fuchs, non è il cervello che prova sensazioni o ha ricordi con determinate qualità affettive, bensì l’essere vivente concepito come totalità olistica. La coscienza non è contenuta nella testa; è un fenomeno che implica l’intero corpo vissuto.
C’è una conoscenza naturale pre-scientifica che attinge pre-riflessivamente dal mondo della vita nella sua silente autenticità, risuonando e rispondendo alle sue sollecitazioni senza i filtri del Cogito[23]. L’organismo vivente abita attivamente il suo ambiente (Umwelt), facendone esperienza e, al tempo stesso fornisce anche la sua risposta affettiva[24].
Ritroviamo la proposta di Fuchs, anche in un bel articolo della rivista filosofica “InCircolo”, in cui il problema mente-corpo è stato riformulato nei termini della relazione fra il corpo vivo o corpo soggetto da un lato, e il corpo fisiologico o corpo oggetto dall’altro[25].
La riflessione di Thomas Fuchs[26], parte dall’importanza che l’Umwelt (l’ambiente prossimo al nostro organismo )[27] riveste come fondamento e per la comprensione del cervello umano. Oggigiorno i processi mentali del cervello e la sua attività si pensa siano sempre più osservabili con precisione tramite tecniche di imaging: percezione, sensazione, pensiero e pianificazione sembrano aver luogo in aree specifiche, osservabili in vivo attraverso l’illuminazione delle strutture cerebrali, identificate secondo un codice di colore[28]. Importante è, invece, ricordare che le neuroscienze, la neurobiologia e tutte le altre scienze emergono come forme specializzate di una pratica umana che trae origine dal “mondo della vita”, e non il frutto/costrutto illusorio del cervello o di entità/costrutti fisiche o neurobiologiche (elettroni e atomi, molecole potenziali d’azione, campi magnetici, omissioni di fotoni). Diviene necessario “guardare oltre” la proverbiale “fata Morgana” della roccaforte (vedi cit. 28); diventa fondamentale coglierne il significato di questa “illusione”: la necessità che il soggetto stesso venga restituito al “mondo della vita”, che il cervello diventi un organo di interrelazioni.
La tesi fondamentale del testo è che tutte le funzioni del cervello dipendano e possano essere comprese solo sulla base dell’unità della persona. Tutte le funzioni cerebrali superiori presuppongono la vita dell’essere umano ed un mondo sociale. Organismo vivente, ambiente naturale e dimensione socioculturale, sono le dimensioni che, in una visione evolutiva ed ecologica, vedono il cervello umano come organo di uno zoòn politikòn: un essere vivente la cui struttura biologica è formata fin nel nucleo dalla vita sociale. Il cervello è un organo di mediazione, un organo sociale, culturale e storico; un organo della persona.
Il testo di Fuchs si struttura in due sezioni: una “Critica al riduzionismo neurobiologico” e una riflessione sui concetti di “Corpo, persona a cervello”. Nel primo capitolo (“Un universo nella testa?”)[29] viene criticata la tesi neurocostruttivista secondo cui lo status ontologico della realtà vissuta è quello di un’immagine soggettiva o un modello virtuale costruito dal cervello. Una visione dualistica del mondo, dove la realtà è concepita in modo idealistico e viene attribuita a processi puramente materiali del cervello (una mente e un cervello disincarnati, una sorta di materialismo cartesiano). Secondo Fuchs, invece, la percezione non deve essere intesa come una rappresentazione, ma come una relazione attiva tra un soggetto incarnato e il suo ambiente: gli esseri viventi costruiscono il loro mondo vissuto attraverso la loro continua interazione senso motoria con l’ambiente[30].
Nel secondo capitolo (“Il cervello come erede del soggetto?”)[31] viene criticata la posizione secondo cui la soggettività è considerata un costrutto o un epifenomeno dei processi neuronali: azione e libertà di scelta verrebbero ridotte alla “fata morgana”.
Quindi, in questi primi capitoli[32] l’opera si impegna in una critica del paradigma dominante nelle neuroscienze, e, di come la coscienza venga “ridotta” a rappresentazione interna del mondo esterno. Viene criticato come il corpo rimanga un meccanismo di supporto fisiologico per “un cervello” che potrebbe produrre la coscienza: come un “cervello nella vasca”, come un “universo dentro la testa”.
Nella seconda parte (più corposa) si pone l’attenzione allo sviluppo di una teoria ecologica del cervello, inteso come l’organo di un essere vivente nel proprio ambiente. Il cervello trasformando la percezione in attività motoria o le esperienze in ricordi, diventa un organo della persona.
Nel capitolo terzo (“Fondazione: soggettività e vita”)[33] si sviluppa il concetto di “soggettività incarnata” e viene presentato il concetto di “duplice aspetto della persona vivente”, intesa come unità dialettica di “corpo soggettivo” e di “corpo fisico”. Viene descritto il problema mente-cervello come problema “corpo soggettivo-corpo fisico” (problema “Leib-Korper”), nella direzione di una concezione ecologica dell’organismo vivente e dell’ambiente.
Nel capitolo quarto (“Il cervello come organo dell’essere vivente”)[34] si presenta il cervello come organo fondamentale di regolazione e integrazione connesso all’organismo attraverso diversi circuiti: feedback regolatori di tipo vegetativo, endocrino e autonomo. In quest’ottica, la sensazione di fondo del corpo, la sensazione di “essere vivi” può essere considerata la base di tutta l’esperienza cosciente. Importante diventa un’analisi della memoria implicita, in cui viene data importanza alle componenti di percezione e movimento. Nel capitolo quinto (“Il cervello come organo della persona”)[35] si analizza lo sviluppo socioculturale del cervello umano nella prima infanzia. Si parte dal periodo prenatale e dalla relazione diadica tra madre e bambino, concentrandosi sulla memoria implicita, sul sistema di attaccamento e sul sistema di risonanza sociale (“neuroni specchio”). Si affronta, poi, il tema dell’intersoggettività secondaria verso la fine del primo anno di vita (sviluppo dell’attenzione congiunta). Successivamente, si passa all’apprendimento del linguaggio inteso come “base di una pratica interpersonale incarnata correlata al sistema di risonanza biologica nei neuroni specchio”. Nel capitolo sesto (“Il concetto di duplice aspetto”)[36] si analizza il concetto di “duplice aspetto personale” sottolineando il primato delle funzioni globali sulle loro componenti e la reciprocità fra la causalità top down e bottom up.
Infine, nel capitolo settimo (“Implicazioni per la psichiatria e la medicina psicologica”)[37] si analizza l’influenza dei disturbi mentali sull’esperienza di sé e delle relazioni interpersonali. Si esclude una visione riduzionistica dei disturbi mentali intesi come “disturbi cerebrali”. Si sottolinea che i processi psichici delle persone (intese come esseri viventi incarnati) sono anche processi biologici, ma non limitati al cervello. Si evidenzia la necessità di un concetto adeguato di ciò che è “biologico” (processo vitale associato all’organismo e alle sue interazioni con l’ambiente). Si evidenzia come sia errato concepire la psichiatria solo come “una neuroscienza clinica” e, come sia importante considerare le esperienze e le relazioni di una persona malata di mente come il nucleo della sua malattia stessa. Da qui l’importanza di una psicopatologia orientata al soggetto, basata su un orientamento fenomenologico e su una comprensione ermeneutica diversa da quella convenzionalmente usata dalla scienza oggettiva[38]. Conclude Fuchs: la dimensione esistenziale è al di fuori della portata dei metodi neuroscientifici, la psicoterapia non potrà mai diventare un ramo della neurobiologia applicata, le sue scienze fondamentali restano la psicologia, ermeneutica e le scienze sociali e umane.
Considerazioni finali[39]: nonostante le sue innumerevoli e affascinanti conquiste, il cervello non è un creatore del mondo; non c’è alcun universo nella testa, il cervello è principalmente un organo di mediazione, trasformazione e modulazione integrato nelle relazioni interpersonali. Il cervello non possiede stato mentale, né una coscienza, non vive, esiste semplicemente come organo di una persona vivente. Solo le persone umane possono pensare, percepire e agire, non le popolazioni neuronali nei cervelli. L’elemento caratterizzante della persona è il suo “essere in relazione”: una persona non è una parte localizzabile del corpo, ma è incarnata e animata; gli esseri umani hanno un cervello, ma non sono cervelli.
La persona è “vissuto e fisico – leib e korper”; e non vi è alcun “passaggio nascosto” che conduca da una faccia all’altra. In realtà (dice Fuchs), è come se avessimo accesso all’altro aspetto attraverso una “porta girevole”, senza mai riuscire ad afferrare il lato alle nostre spalle. Comprendiamo/intuiamo un’unità destinata, però, a restare “misteriosa”; un’unità basata su una dialettica di monismo e dualismo; che non rimanda né a identità, né a dualismi.
Mentre percepisce, una persona non può mai collocarsi dietro al proprio corpo percettivo e non è giocabile la visione oggettivante della natura per cogliere il nostro mondo della vita; la forma scientifica della conoscenza elimina la vita e la mente come tali. Quelle che si possono conoscere sono relazioni vitali condivise, tramite modalità ermeneutiche.
Come entità vivente, il corpo è anche il “mio corpo vissuto”; come vita vivente, la mente è incarnata e tutti i miei sentimenti, pensieri e azioni si compiono attraverso processi fisiologici, in particolare neuronali. Questo, non significa affatto ritornare a un idillio pre-dualistico; ma, significa riconoscere la forma ambivalente e conflittuale della nostra esistenza. Significa cogliere la contraddittorietà della persona in cui spontaneità e riflessività, libertà e necessità, mente e corpo, cultura e natura sono sempre in conflitto tra loro: l’ambiguità della persona resiste a tutti i tentativi di risoluzione in una.
Il fascino di “catturare” le sfuggenti possibilità della mente all’interno della rete neurali, ci rende dimentichi che non esiste alcuna possibilità di aggirare il duplice aspetto dell’esistenza; più l’osservazione dei processi fisiologici è precisa, più questi diventano inanimati: la vita non ha una percezione chiara e distinta. Tuttavia, anche se il progetto di naturalizzazione si pone qui in contrasto rispetto a una percezione personalistica dell’essere umano, ciò non significa rifiutare o svalutare l’atteggiamento naturalistico; fosse solo per il suo importante significato pratico e indiscusso nella pratica medica.
Quindi, per concludere, un nuovo fondamento del concetto di vita basato sull’esperienza corporea di sé da parte dell’essere umano è una condizione fondamentale per superare la divisione naturalistica della persona in proprietà fisiche e mentali. Una via per raggiungere questo obiettivo potrebbe consistere nel collegare le prospettive della biologia filosofica con la fenomenologia del corpo vissuto, in quanto la struttura ecologica della relazione organismo-ambiente e quella fenomenologica dell’essere-per-il mondo corporeo corrispondono direttamente all’una all’altra.
Nel contesto di un incontro tra due soggettività (medico e paziente), il corpo vissuto può essere percepito come lo “strumento” attraverso cui la persona appare, si esprime e abita al mondo; non come una costruzione arbitraria di supporto per il cervello o la coscienza, ma un organismo con un preciso “vissuto”[40]. Le persone “trovano” loro stesse, non in un mondo interiore, mentale o neuronale, ma nel loro “essere nel mondo”. L’unità di interno ed esterno, di soggettività e oggettività risiede in una interazione intercorporea fra individui umani, dove la realtà individuale e quella condivisa coincidono.
Questa interazione intercorporea trova, secondo Fuchs, il suo paradigma nella conversazione: l’altro diventa reale per me attraverso le sue parole e, a mia volta, io divento reale per lui. Una relazione intercorporea e al contempo intenzionale: un’unità di voce corporea e linguaggio mentale.
Non può sussistere alcun dialogo tra cervelli (se il cervello producesse il proprio mondo non potremmo parlarci). Il cervello è solo un organo di mediazione e risonanza, non il creatore del nostro mondo. L’affermazione dell’altro implica che le sue parole non siano ascoltate come semplici suoni o segni esterni, perché l’altro è “compreso” nelle sue parole. Sono le persone il fenomeno originario: ciò che si mostra e ciò che si presenta, ciò che “appare”.
Io sento i pensieri dell’altro nelle sue parole.
Prendendogli la mano, gli do la mia mano.
Guardandolo negli occhi, lo vedo.
Non siamo il frutto dell’immaginazione del nostro cervello, ma persone in carne ed ossa.
[1] Ecologia del Cervello: Fenomenologia e Biologia della Mente Incarnata – Thomas Fuchs – Casa Editrice Astrolabio – 2021.
[2] Dal senso comune alla filosofia (domande e testi) – autori vari – Volume 1 – Sansoni per la scuola, Firenze (2001) – pp. 258-283.
[3] Non che prima della Grecia dei grandi pensatori e sistemi, non ci si sia domandati dell’uomo e della sua individualità; semplicemente, abbiamo deciso di iniziare facendo questo riferimento.
[4] Ivi., pp.260-283
[5] Dal senso comune alla filosofia (domande e testi) – autori vari – Volume 2 – Sansoni per la scuola, Firenze (2001) – pp. 344-369.
[7] Dal senso comune alla filosofia (domande e testi) – autori vari – Volume 3 – Sansoni per la scuola, Firenze (2001) – pp. 212-232.
[9] http://www.filosofico.net/merleau.htm
[10] Per Merleau-Ponty, la riduzione fenomenologia non mette capo a una coscienza pura, come aveva preteso lo stesso Husserl, bensì un mondo della vita, antecedente ad ogni riflessione, nel quale soggetto e oggetto si presentano indistinti.
[11] https://laricerca.loescher.it/merleau-ponty-e-la-carne-come-perno-del-mondo/
[12] M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, trad. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 2003, pp. 34-35): “…a ogni battito delle ciglia una tenda si abbassa e si rialza, senza che al momento io pensi di imputare questa eclisse alle cose stesse; a ogni movimento degli occhi che frugano lo spazio di fronte a me, le cose subiscono una breve torsione che io imputo a me stesso; e quando cammino per la strada, con gli occhi fissi sull’orizzonte delle case, tutto ciò che nelle vicinanze mi circonda sussulta a ogni rumore del tacco sull’asfalto, poi si assesta nel suo luogo. Esprimerei molto male ciò che avviene dicendo che una “componente soggettiva” o un “apporto corporeo” viene qui a ricoprire le cose stesse: non si tratta di un altro strato o di un velo che verrebbe a collocarsi tra quelle cose e me»
[13] Ivi., p. 266: Nell’esperienza percettiva colgo l’altro da me, ma anche me stesso, i miei limiti e le mie capacità; non c’è un fuori e un dentro, non c’è un io e un altro. E, continua il nostro filosofo: “Toccare è toccarsi. Da intendere come: le cose sono il prolungamento del mio corpo e il mio corpo è il prolungamento del mondo, grazie a esso il mondo mi circonda.
[14] Il corpo – Umberto Galimberti – Feltrinelli Editore Milano – ventisettesima edizione (ampliata), febbraio 2021 – pp. 11-27.
[15] Ivi., pp. 29-102.
[16] Ivi., p. 41.
[17] Ivi., p. 57.
[18] Ivi., p. 115.
[19] Ivi., p. 134.
[20] Ivi., p. 188.
[21]https://www.disciplinefilosofiche.it/recensioni/68-recensione-a-thomas-fucht-ecology-of-the-brain-the-phenomenology-and-biology-of-the-embodied-mind-oxford-university-press-oxford-2017-pp-370-veronica-iubei/
[22] T. Fuchs. Ecology of the Brain: The Phenomenology and Biology of the Embodied Mind. Oxford University Press: 2018.
[23] In Ecologia del Cervello si afferma che: la vita sia legata ad un interscambio tra corpo vivente e ambiente circostante; ma che il Sé consista, essenzialmente, nella stessa relazione processuale tra questi due poli è invece qualcosa di fortemente rivoluzionario.
[24] Ivi., pag. 2: “…dobbiamo congedare l’immagine cognitivista del cervello come creatore della vita interiore del soggetto; occorre abbandonare anche la primitiva distinzione esterno/interno, che ci allontana vertiginosamente dall’afferrare il rapporto orizzontale ed integrativo tra corpo vissuto, soggettività ed ambiente; il cervello diventa organo di risonanza (di oscillazioni ritmiche) tra organismo e ambiente, su cui esso stabilisce una coerenza processuale…il concetto di immediata mediatezza spazza via ogni dubbio, in quanto lascia intendere la posizione assolutamente decentralizzata del cervello rispetto al flusso della vita. L’approccio ecologico pone il focus sulla fase prematura dell’infanzia, sulle dimensioni pre-cognitive dell’inter-corporeità e dell’inter-affettività, come “modulatori” delle/per le basi per l’acquisizione di abitudini, predisposizioni e abilità linguistiche, piuttosto che presunti moduli o sistemi mentali di ordine cognitivo”.
[25] https://www.incircolorivistafilosofica.it/la-circolarita-della-mente-incarnata/: secondo le interpretazioni enattive ed ecologiche della cognizione, la mente non può essere considerata come una rappresentazione interna e disincarnata del mondo esterno, né come un sistema di moduli cerebrali, simboli neuronali, e algoritmi che ci permettono di calcolare e predire il mondo…una mente incarnata rivela ed integra lo stato attuale dell’intero organismo e come esso interagisce con l’ambiente…non “una mente”, intesa come una sfera separata o una qualche entità; piuttosto, un soggetto corporeo le cui esperienze si estendono sul corpo vivo e, attraverso il contatto con il mondo.: il soggetto risiede davvero nel corpo. Il corpo è il centro vero del soggetto…una mente disincarnata è ancora un retaggio del materialismo cartesiano; non è più una questione di come la mente si rapporta al cervello; ma di come il corpo vivo o corpo soggetto si relaziona al corpo vivente o corpo oggetto: la questione diventa quella del “problema corpo-corpo”.
[26] T. Fuchs. Ecology of the Brain: The Phenomenology and Biology of the Embodied Mind. Oxford University Press: 2018.
[27] Ivi., pp. 11-20 (Neurobiologia e rovesciamento del mondo della vita).
[28] Ivi., pp. 11-20: Un cervello inteso come una macchina di elaborazione di informazioni, in cui le cause reali dei sentimenti, delle percezioni, dei pensieri e delle azioni umane, sarebbero neuronali e/o ormonali. Un paradigma neurobiologico che indentifica le malattie mentali come processi materiali all’interno del cervello, isolati dalle relazioni con l’ambiente, ci porta verso un tentativo di neutralizzare la sfera della soggettività relegandola a epifenomeno di processi materiali, lasciando però ugualmente intatto l’attacco alla soggettività. Ma questo riduzionismo finisce inevitabilmente per cadere in aporie epistemologiche irrisolvibili quando viene chiamato ad analizzare il cervello stesso perché, in base ai suoi presupposti, riconosciamo solo ciò che è già stato elaborato dai meccanismi neuronali e quindi appare come realtà soggettiva prefabbricata. Il cervello, studiato dal neuroscienziato, sarebbe un semplice prodotto del proprio cervello, ma: come può il cervello conoscere se stesso? Come può un meccanismo fisicamente descrivibile e localizzabile essere in grado di far emergere il mondo dell’esperienza scientifica da cui allo stesso tempo emerge? La roccaforte conquistata dal fisicalismo non sarebbe altro che “la fatta Morgana”, immaginata dalle forze assedianti, che non sanno mai con esattezza se la fortezza esista davvero, perché la sua presenza potrebbe essere frutto dell’immaginazione”.
[29] Ivi., pp. 23-52.
[30] Questo accade fin dalla prima infanzia, l’esperienza di attenzione congiunta, l’indicare gli oggetti, le pratiche cooperative danno luogo a un conferimento di senso partecipativo. Si costruisce una realtà condivisa che diviene una parte implicita della nostra relazione con il mondo. La percezione umana è tutt’altro che una serie di immagini in una mente disincarnata, solitaria, priva di mondo; è invece un’attività che trascende i confini del corpo attraverso interazioni sensomotorie del corpo stesso. È la realtà appresa consensualmente a garantire la realtà delle mie percezioni; non possiamo semplicemente ritirarci una prospettiva costruttivista radicale. L’altro è reale per me ed è solo in virtù di lui che acquisto realtà. Non posso più essere una entità solipsistica o costruita; è nel primato del mondo della vita, che le cose e gli esseri viventi si mostrano per come sono realmente.
[31] Ivi., pp. 53-95.
[32] Ivi., pp.90-98.
[33] Ivi., pp. 99-140.
[34] Ivi., pp.141-214.
[35] Ivi., pp. 215-255.
[36] Ivi., pp. 256-301.
[37] Ivi., pp. 302-333.
[38] Ivi., p. 332 – Lo psichiatra Nemiah ha affermato: “Siamo noi stessi lo strumento che fa risuonare la profondità dell’essere del paziente, che riverbera le sue emozioni, che rivela i suoi conflitti nascosti e percepisce la forma dei suoi schemi di comportamento ricorrenti”.
[39] Ecologia del Cervello: Fenomenologia e Biologia della Mente Incarnata – pp.334-348.
[40] Ivi., p. 346 – La via verso l’educazione, il progresso e la maturità dell’individuo non viene percorsa attraverso la manipolazione diretta dal cervello, che può avere solo un effetto inibitorio o modulatori, ma non per nulla creativo. Al contrario, il cervello si costruisce plasmando e organizzando l’ambiente e le relazioni.